RECOVERY FUND E PROFILI DI GOVERNANCE ECONOMICA NELL’AMBITO DEL “NEXT GENERATION EU”

Indice

Gli effetti economici della crisi caratterizzeranno il sistema economico ancora a lungo. Per fare fronte agli effetti della pandemia l’Unione ha adottato Next generation EU.

Per conseguire gli obiettivi che saranno fissati nel piano nazionale per la ripresa e la resilienza (PNRR) è necessario un rafforzamento dell’amministrazione pubblica, anche attraverso strutture che operino con discontinuità rispetto al passato e dotate di adeguate poteri e competenze per poter assolvere efficacemente alle funzioni che vengono loro assegnate.

Va in ogni caso riconosciuto che l’accordo in sede di Consiglio europeo ha una portata storica nel riaffermare la base solidaristica dell’Unione e nel creare, per la prima volta, una prima fiscal capacity europea, uno strumento che prima della pandemia era apparso fortemente controverso ed inattuabile in tempi brevi.

Di Renato Loiero

  1. Premessa: L’impatto economico della crisi

Dopo il contenuto shock iniziale dovuto alla contrazione dell’economia cinese, gli effetti economici della crisi si sono manifestati nella loro interezza nel primo trimestre del 2020 sia dal lato dell’offerta – a causa delle restrizioni alle attività produttive e commerciali e alla conseguente interruzione delle catene di approvvigionamento – sia dal lato della domanda- a causa della riduzione dei redditi da lavoro e all’interruzione dei programmi di investimento causata dal peggioramento delle aspettative, dal generale clima di incertezza e dalla crisi di liquidità del sistema economico.

Molte di queste difficoltà caratterizzeranno il sistema economico a lungo anche durante le varie fasi di ripresa delle attività, soprattutto in conseguenza del costoso adattamento della produzione e del commercio alle nuove misure di sicurezza.

Il pacchetto prevede 750 miliardi di euro complessivi che la Commissione europea dovrebbe reperire sul mercato tramite emissioni di titoli garantiti dal bilancio europeo. Inoltre, il programma si aggiunge al pacchetto di strumenti ad hoc già introdotto per fronteggiare la pandemia tramite il MES, la BEI e lo SURE (il cui valore complessivo è stimato in circa 540 miliardi) e agli strumenti previsti dal piano pluriennale di bilancio europeo 2021-2027 (valutato per 1.100 miliardi)[1].

In base alle simulazioni effettuate, si stima che tra il 2021 e il 2024 il programma porterebbe ad un aumento medio annuale del livello del PIL dell’UE di circa l’1,3% rispetto al PIL atteso senza le risorse di Next Generation EU. Per l’Italia, il beneficio sarebbe ancora più elevato: fino a +3,1% l’aumento medio annuale del livello del PIL stimato entro il 2024 grazie all’effetto di Next Generation EU. Si prevede inoltre nel medio periodo una riduzione del rapporto debito/PIL in Italia di oltre 17 punti percentuali. Si stima che, grazie alle risorse di Next Generation EU, l’Italia potrebbe recuperare il livello di PIL precedente alla crisi finanziaria globale entro il 2024 e quello precedente alla crisi pandemica entro il 2022.

Peraltro, ulteriori considerazioni emergono da una lettura dei dati complessivi inerenti ai rapporti finanziari tra Italia e UE. Occorre considerare che l’Italia ha versato alla UE nel 2018 (ultimo dato disponibile) circa 17 miliardi di euro di risorse proprie (fonte RGS). Si può dunque assumere che in un triennio l’Italia versi circa 50 miliardi di euro.

Poiché il Recovery è solo una parte del Next Generation Plan è possibile che nel triennio 2020-2023 l’Italia non risulti più contributore netto (cioè Paese che versa più di quanto riceve) come invece sempre accaduto nei 50 anni precedenti.

In termini dimensionali, il Recovery Fund è maggiore del piano Marshall ossia degli aiuti erogati dagli Usa nel periodo che va dal 1948 al 1951. Il confronto è interessante, anche perché l’arco temporale è più o meno equivalente. Gli USA stanziarono per l’Italia 1,2 miliardi di dollari dell’epoca.

Per attualizzare la somma occorre considerare sia il valore del PIL del 1948 in confronto all’attuale, sia l’entità reale in termini di capacità di acquisto del dollaro USA. Si ricava che il Piano Marshall varrebbe oggi intorno agli 89 miliardi di euro quindi un po’ meno del doppio del Recovery destinato all’Italia. Ma ovviamente è una stima che dipende dai criteri di attualizzazione.

Il Piano è dunque sostanzioso ma severamente disciplinato: impegni da assumere entro i primi 2 anni (2021-2023) e pagamenti entro i successivi 3 (entro il 2026). Il piano di spesa deve essere anticipato rispetto all’erogazione e presentato entro gennaio 2021.

È indubbio che la riuscita in termini di impiego delle risorse, dipenderà essenzialmente da quanto adeguato sarà il piano. Elementi di particolare interesse saranno: numero dei progetti, Autorità di spesa, meccanismi di anticipazione.

Infatti, è noto che i problemi relativi alla spesa dei fondi europei riguardano l’eccessiva parcellizzazione dei progetti, la scelta di regionalizzare le Autorità di gestione e l’assenza di meccanismi di anticipazione per cassa da parte dell’Autorità nazionale con effetto di ritardo cronico nei pagamenti e difficolta nella certificazione degli stessi alla EU.

Se almeno alcune di queste criticità verranno risolte lo si potrà capire una volta che il piano da presentarsi entro gennaio sarà più concreto rispetto agli attuali documenti disponibili.

Il  saldo tra i trasferimenti ricevuti nell’ambito di Next Generation EU e la quota nazionale delle nuove risorse necessarie per il rimborso dei debiti dell’Unione sarebbe per l’Italia pari a circa 46 miliardi in valore attuale, il più elevato tra i paesi membri[2].

Il payoff per l’Italia è dunque molto elevato ma potenzialmente di breve periodo se le risorse non venissero impiegate in piani di riforma strutturali con impatti durevoli in termini di produttività.

Per quanto qualsiasi giudizio è ovviamente del tutto prematuro, gli osservatori concordano sulla ovvia constatazione del fatto che è necessario presentare un piano di azione ambizioso e credibile sia per avere accesso alle risorse che per impiegarle in programmi idonei a determinare cambiamenti strutturali del quadro economico del nostro sistema-Paese.

Possono giocare un ruolo rilevante le istituzioni con presenza granulare sul territorio e caratterizzate da processi già consolidati di certificazione dell’utilizzo dei fondi europei. Su questo piano, gli istituti nazionali di promozione, quali CDP ed Invitalia, hanno già meccanismi di rendicontazione sull’utilizzo dei fondi (ad es. Piano Juncker) che possono assicurare piena trasparenza e accountability nell’utilizzo delle risorse.

Occorre tener conto che l’effettiva erogazione dei fondi sarà subordinata al soddisfacente conseguimento di obiettivi intermedi e finali specificati nei Piani. La Commissione UE valuterà tale conseguimento, dopo aver sentito il parere del Comitato Economico e Finanziario.

Qualora uno o più Stati membri ritengano che gli obiettivi non siano stati adeguatamente conseguiti, essi potranno chiedere al Consiglio europeo di discutere la questione in modo esaustivo. Di norma, tale esame non dovrà richiedere più di tre mesi; durante l’esame l’erogazione dei fondi sarà sospesa.

Per l’intero periodo di programmazione (7 anni per i fondi strutturali contro i 3 del recovery) erano previste risorse EU per 460 miliardi circa con 178 miliardi di risorse nazionali. L’Italia aveva un budget di circa 28 miliardi contro gli oltre 44 assegnati per il periodo 2021-2022 (a cui poi si debbono aggiungere quelli del 2023 e quelli provenienti da altri stanziamenti per un totale di circa 81,4 miliardi a fondo perduto).

Inoltre, il sistema Recovery non prevede una quota di finanziamento nazionale. Il motivo di questa ripartizione particolarmente favorevole sta nelle regole: il Recovery tiene conto ad esempio del tasso di disoccupazione nel triennio 2018-2020 e del calo del PIL nel 2020.

2. Il Quadro finanziario pluriennale 2021-2027

In occasione del Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020, il Consiglio europeo ha approvato la propria posizione sulle proposte di revisione del Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e sull’associato programma Next Generation EU.

La posizione del Consiglio europeo, quale risulta dalle Conclusioni adottate ad esito di quasi cinque giorni di discussioni e negoziazioni, prevede in estrema sintesi tre punti.

In primo luogo, un programma “Next Generation EU”, basato su prestiti da contrarre ad opera della Commissione europea sui mercati internazionali, delle medesime dimensioni della proposta della Commissione di maggio 2020 (750 miliardi di euro in prezzi 2018) ma con una diversa ripartizione tra prestiti (360 miliardi a fronte dei 250 inziali) e sovvenzioni (390 miliardi e non più 500).

Il termine dei prestiti viene anticipato a fine 2026 e i fondi così raccolti saranno utilizzati solo per affrontare le conseguenze della crisi. I rimborsi avranno luogo tra il 2027 e il 2058 e, al fine di coprire i relativi impegni, gli importi dei massimali delle risorse proprie saranno temporaneamente innalzati di 0,6 punti percentuali.

In questa cornice, si rinvia alla decisione sulle risorse proprie per individuare i casi e le condizioni in cui potranno essere richieste in via provvisoria agli Stati membri maggiori risorse per i finanziamenti a titolo di Next generation EU. Tale operazione non dovrebbe aumentarne le passività finali.

L’importo di tali risorse supplementari annuali è stabilito su base proporzionale e, in ogni caso, è limitato allo 0,6 % dell’RNL nazionale. Prima di sollecitare tali fondi, comunque, è previsto che la Commissione ricorra ad una gestione attiva della liquidità e, se necessario, a finanziamenti a breve termine tramite i mercati dei capitali nell’ambito della sua strategia di finanziamento diversificata.

In termini temporali, i fondi dovrebbero essere impegnati entro il 31 dicembre 2023 e i pagamenti effettuati entro il 31 dicembre 2026. Il maggiore tra i programmi finanziati da Next Generation EU rimane il Dispositivo per la ripresa e la resilienza, con dotazione aumentata a 672,5 miliardi di euro (360 destinati a prestiti e 312,5 a sovvenzioni) e collegato al ciclo del semestre europeo.

Differentemente dalla proposta originaria della Commissione il 70% delle sovvenzioni dovrebbe essere impegnato negli anni 2021 e 2022, il restante 30% entro il 2023.

I criteri di distribuzione delle risorse proposti dalla Commissione europea (popolazione, tasso medio di disoccupazione rispetto alla media europea e inverso del PIL) rimangono confermati fino al 2022; per il 2023 invece il criterio relativo al livello di disoccupazione sarebbe sostituito, in percentuali uguali, dalla perdita del PIL reale osservata nell’arco del 2020 e dalla perdita cumulativa del PIL reale osservata nel periodo 2020-2021.

Il Piano per la ripresa e la resilienza, sulla base del quale vengono approvati i finanziamenti, oltre ad essere sottoposto alla valutazione della Commissione dovrebbe essere approvato anche dal Consiglio dell’Unione a maggioranza qualificata, con decisione che dovrebbe intervenire entro quattro settimane.

Qualora poi, in fase di pagamento, uno o più Stati membri ritengano che vi siano stati seri scostamenti dall’adempimento soddisfacente di target e obiettivi, può attivare la procedura che la stampa ha definito freno d’emergenza, con richiesta di deferire la questione al successivo Consiglio europeo.

Nessuna decisione potrà essere assunta finché il Consiglio europeo non abbia discusso la questione “in maniera esaustiva”. Per tale processo si prevede, “di regola”, una durata non superiore a tre mesi. La procedura sarà comunque in linea con gli articoli 17 del TUE e 317 del TFUE che sanciscono il ruolo della Commissione europea quale responsabile dell’esecuzione del bilancio dell’UE[3].

In secondo luogo, la decisione del Consiglio prefigura un QFP il cui ammontare, in termini di impegni, dovrebbe ridursi a 1.074,3 miliardi, dunque 25,7 miliardi in meno rispetto alla proposta della Commissione, che aveva invece proposto un budget di 1.100 miliardi.

In termini di risorse proprie, si propone un massimale per pagamenti pari all’1,40% del reddito nazionale lordo di tutti gli Stati membri; il massimale per impegni invece non eccederebbe l’1,46% della somma dell’RNL degli Stati membri. Si preannuncia l’intenzione, nel corso dei prossimi anni, di riformare il sistema, con l’introduzione di nuove risorse proprie su:

– i rifiuti di plastica non riciclati, da applicare a partire dal 1° gennaio 2021;

– un meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera e un prelievo sul digitale, sulla base di proposte della Commissione da presentare nel primo semestre 2021 e la cui introduzione si prevede al più tardi entro il 1° gennaio 2023;

– la revisione del sistema per lo scambio di quote di emissioni, con possibilità di estenderlo al trasporto aereo e marittimo. In questo caso, però, non è specificata alcuna data.

In termini più generali, si fa riferimento all’introduzione di ulteriori risorse proprie, che potrebbero includere una tassa sulle transazioni finanziarie. I proventi delle risorse proprie introdotte dopo il 2021 saranno utilizzate per rimborsi anticipati dei prestiti derivanti da “Next generation EU”.

È prevista, per il periodo 2021 – 2027, la prosecuzione del sistema delle correzioni nazionali al bilancio dell’Unione (rebate), riduzioni forfetarie dei contributi annuali basati sull’RNL.

Sono previste riduzioni a favore di: Danimarca (aumentate a seguito del Consiglio europeo da 197 a 377 milioni di euro); Paesi Bassi (da 1.576 a 1.921 milioni); Austria (da 237 a 565 milioni); Svezia (da 798 a 1.069 milioni). Le riduzioni a favore della Germania sono invece rimaste invariate a 3.671 milioni di euro. I relativi importi sono calcolati a prezzi 2020 e non 2018;

Sia al QFP che alle risorse raccolte tramite Next Generation EU si prevede di applicare un “obiettivo climatico generale” del 30 per cento, da destinare esclusivamente a progetti legati al clima.

Le spese finanziate con fondi UE dovranno rispettare l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 e contribuire al raggiungimento dei target climatici dell’Unione.

Il Consiglio europeo ha invitato la Commissione a presentare entro novembre 2020 una proposta per una riserva speciale di adeguamento alla Brexit dell’ammontare di 5 miliardi di euro per contrastare le conseguenze negative impreviste negli Stati membri e nei settori più colpiti. Viene confermato un meccanismo di tutela del bilancio dell’UE dai rischi finanziari connessi a carenze generalizzate dello Stato di diritto negli Stati membri.

Si prevede che, in caso di violazioni, la Commissione proponga misure che dovranno essere adottate dal Consiglio a maggioranza qualificata.

Infine, per rispondere alla crisi economica e sanitaria legata alla diffusione del COVID-19, la Commissione europea ha deciso di concedere agli Stati membri la piena flessibilità nell’applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato. 

A tal fine, nel marzo scorso ha adottato il Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19 con il quale, fino al 31 dicembre 2020, legittima alcune tipologie di aiuti di stato al fine di consentire agli Stati membri di sostenere l’economia nel contesto dell’emergenza del coronavirus.

È stato, inoltre, più volte evidenziato come le risorse del Recovery Fund non possano essere impegnate per una riduzione del carico fiscale (ad esempio con un abbassamento generalizzato delle aliquote dell’IRPEF), mentre siano pienamente utilizzabili per riforme di ampio raggio, la cui attuazione potrebbe richiedere costi di transizione non trascurabili.

In questo contesto, fermo restando che le scelte definitive spettano al Parlamento e al Governo, le risorse del Recovery Fund potrebbero essere utilizzate per una riforma del Fisco e dell’attività di riscossione e per un rafforzamento dei processi di digitalizzazione e innovazione, sui quali l’Agenzia ha già investito, negli ultimi anni, ingenti risorse, al fine di rendere più efficiente ed efficace la propria azione.

Il 17 luglio 2020, la commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo ha chiesto alla Corte dei conti europea di esprimere un parere sulla proposta della Commissione per l’istituzione del suddetto dispositivo[4].

In linea con la richiesta della commissione, lo scopo del parere è valutare il disegno, l’adeguatezza degli strumenti proposti, i potenziali rischi ed i meccanismi di monitoraggio e rendicontazione del Dispositivo per la ripresa e la resilienza[5].

La Corte dei Conti europea ha espresso un parere sostanzialmente positivo sul Dispositivo, sottolineandone il potenziale per sostenere gli Stati membri nell’alleviare l’impatto economico e finanziario della pandemia.

Accoglie inoltre con favore il fatto che la proposta si basi sui meccanismi esistenti, come il regolamento sulle disposizioni comuni (RDC) e il semestre europeo, promuovendo in tal modo le sinergie e riducendo gli oneri amministrativi a livello sia dell’UE che degli Stati membri.

Inoltre, è probabile che il coinvolgimento degli Stati membri stabilito nella proposta aumenti la titolarità e offra la possibilità di tenere conto delle circostanze specifiche del Paese.

La Corte dei Conti fa notare, tuttavia, che la portata e gli obiettivi del Dispositivo sono piuttosto ampi, in parte si sovrappongono ad altri strumenti di finanziamento e non si riflettono pienamente nell’allocazione del contributo finanziario.

L’attuazione tempestiva può essere complicata da problemi di assorbimento a livello di Stato membro e dalle complesse procedure per la valutazione dei piani di recupero e resilienza (RRP).

In questo contesto, si sofferma a sottolineare pertanto l’importanza di adottare misure efficaci contro le frodi e le irregolarità per contrastare i rischi derivanti da significative risorse aggiuntive da spendere in breve tempo, come nel caso del Dispositivo.

Inoltre, il monitoraggio delle prestazioni facenti capo al Dispositivo può essere compromesso dai suoi obiettivi ampi e di alto livello, in combinazione con carenze nel sistema di segnalazione. Infine, la proposta non definisce chiaramente il ruolo del Parlamento europeo nella procedura di bilancio o i diritti di audit e controllo della Corte dei Conti europea (ECA).

3. Conclusioni

Alla data in cui scriviamo, il complesso procedimento di approvazione sia del Regolamento europeo che disciplinerà il processo di approvazione dei piani nazionali che la sorveglianza sulla loro attuazione è ancora incompleto. Ancora meno è possibile dire sui PNRR nazionali, per cui qualsiasi giudizio sarebbe prematuro.

Certo è che con gli interventi della Banca centrale europea, la sospensione del Patto di Stabilità, l’allentamento delle regole in materia di aiuti di Stato, l’adozione di SURE e la nuova facility della Banca europea per gli investimenti, la UE si è dotata degli strumenti destinati ad assistere gli Stati membri nella fase emergenziale della crisi, con misure comuni destinate ad accompagnare gli interventi nazionali. Ora, con il Recovery Plan e il Next Generation EU, la UE si propone di assistere i Paesi membri nella fase post-emergenziale della ricostruzione e della ripresa.

Il Recovery Fund costituisce un’opportunità unica per sostenere la crescita e quindi riportare il rapporto debito/PIL su un sentiero di maggiore sostenibilità, rivedere e snellire le procedure di spesa, definire una chiara allocazione di responsabilità tra amministrazioni centrali e locali, creare sinergie tra soggetti nazionali e istituzioni europee. D’ora in poi occorrerà quindi focalizzarsi su poche priorità (ambiente, economia digitale, PMI, infrastrutture) combinando impulso e monitoraggio centrale con un’implementazione che in alcuni casi può essere locale.

Nelle stime formulate dalla Banca d’Italia[6], in un primo scenario, le maggiori spese  per l’Italia ammonterebbero a oltre 41 miliardi all’anno e potrebbero tradursi in un aumento cumulato del livello del PIL di circa 3 punti percentuali entro il 2025, con un incremento degli occupati di circa 600.000 unità.

Va rilevato che questo scenario presuppone uno sforzo notevole in termini di progettazione e di capacità di esecuzione degli investimenti: si tratterebbe di raddoppiare la spesa effettuata nel 2019 (40,5 miliardi; tra il 2000 e il 2019 la spesa media annua per investimenti è stata pari a 43,5 miliardi, risultando peraltro sistematicamente inferiore a quella programmata, anche per la difficoltà di preparare e gestire i progetti).

Nel secondo scenario si ipotizza che una parte rilevante delle risorse, pari al 30 per cento, venga utilizzata per misure già programmate e che la parte rimanente venga destinata solo per circa due terzi a finanziare direttamente nuovi progetti di investimento. Sotto queste ipotesi gli interventi aggiuntivi ammonterebbero a circa 29 miliardi all’anno, di cui solo 19 per investimenti.

L’impatto cumulato sul livello del PIL raggiungerebbe quasi 2 punti percentuali nel 2025. Queste stime riflettono i valori medi dei moltiplicatori per le principali voci di spesa e di entrata impliciti nel modello econometrico e pertanto non tengono conto della possibilità che in un contesto di forte debolezza economica come quello attuale l’impatto delle misure di bilancio possa rivelarsi più elevato di quanto osservato, in media, storicamente. Le stime inoltre non incorporano gli effetti positivi che potranno scaturire dalla maggiore domanda attivata da analoghi programmi negli altri paesi europei.

È necessario infine un rafforzamento dell’amministrazione pubblica, anche attraverso strutture che operino con discontinuità rispetto al passato e dotate di adeguate poteri e competenze per poter assolvere efficacemente alle funzioni che vengono loro assegnate[7].

Malgrado questi limiti connessi essenzialmente più a ritardi nazionali che alla pure incompleta costruzione europea, va comunque riconosciuto che l’accordo in sede di Consiglio europeo ha una portata di rilievo assolutamente inedito nel riaffermare la base solidaristica dell’Unione e nel creare, per la prima volta, una prima fiscal capacity europea, uno strumento che prima della pandemia era apparso fortemente controverso ed inattuabile in tempi brevi.

Bibliografia

Bordignon M., Recovery Fund, non è tutto oro quello che luccica, Lavoce.info, 21 Luglio 2020.

Cipollone A., Di Vaio G., Gatteschi S., Montanino A., Next Generation EU. Che cosa significa per l’economia italiana?, Nota di Cassa Depositi e Prestiti Think Tank, 1 Agosto 2020.

Codogno, L., & van den Noord, P. (2020). Going fiscal? A stylised model with fiscal capacity and a Eurobond in the Eurozone. A Stylised Model With Fiscal Capacity and a Eurobond in the Eurozone (March 4, 2020). Amsterdam Centre for European Studies Research Paper, (2020/03).

European Court of Auditors, Opinion n. 6/2020 concerning the proposal for a regulation of the European Parliament and of the Council establishing a Recovery and Resilience Facility (COM (2020) 408), 7 Settembre 2020.

Feroci F.N., Recovery Plan: un successo (con qualche ombra) che rilancia l’Unione, Euractiv.it, 24 Luglio 2020.

I Programmi Europei per l’istruzione, la ricerca e la cultura nel Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027, Nota su atti dell’Unione Europea del Senato n. 56.

L’epidemia Covid-19 e l’Unione Europea (aggiornata al 24 Luglio 2020), Nota su atti dell’Unione Europea del Senato 44/15.

Merler S., Recovery Fund, chi ci guadagna e chi ci perde, Lavoce.info, 23 Luglio 2020.

Romano Beda, Il 20% del Recovery fund andrà al digitale, Il Sole 24 Ore, 18 Settembre 2020.

Ruffini E. M., Individuazione delle priorità nell’utilizzo del Recovery Fund, con particolare riferimento a possibili interventi di riforma del sistema fiscale e della riscossione, Audizione del presidente dell’Agenzia delle Entrate, 14 Settembre 2020.

Scannapieco D., Individuazione delle priorità nell’utilizzo del Recovery Fund, Audizione del Vicepresidente della Banca Europea per gli Investimenti, 1° Settembre 2020.

Camera dei Deputati, Servizio Studi – Dipartimento Bilancio, Documento di Finanza Pubblica n.17.

Tosato, G.L., Come funzionerà il freno di emergenza del Recovery Fund, affarinternazionali.it, 25 Luglio 2020.


Le opinioni sono espresse a titolo strettamente personale.

[1] Si veda a questo proposito anche: Camera dei Deputati, SERVIZIO STUDI – Dipartimento Bilancio, Documento di Finanza Pubblica n.17, pp.4 e segg.

[2] UpB.

[3] Si veda il paragrafo “Dibattito attorno alle misure per affrontare l’epidemia” per un giudizio critico che alcuni esperti hanno dato nei confronti della procedura di erogazione dei fondi e della misura nota come “freno d’emergenza” in particolare.

[4] Si veda il document European Court of Auditors, Opinion n. 6/2020 concerning the proposal for a regulation of the European Parliament and of the Council establishing a Recovery and Resilience Facility (COM (2020) 408), 7 settembre 2020.

[5] Il parere si limita alla proposta della Commissione, ma tiene conto del relativo accordo politico raggiunto al Consiglio europeo del 21 luglio.

[6] Audizione  7 settembre 2020.

[7] Si veda l’Audizione del Vicepresidente della Banca Europea per gli Investimenti Dario Scannapieco del 1 settembre 2020, sull’Individuazione delle priorità nell’utilizzo del Recovery Fund.

altri
articoli