Un’analisi del settore turistico e culturale in Italia pone all’attenzione dei policy makers dieci proposte di POST per ripartire dai settori di eccellenza a maggior valore aggiunto ed affrontare in sicurezza la grave crisi dell’economia legata la covid-19.
Di Fabrizio del Franco – maggio 2020
IL SETTORE DEL TURISMO
Il 7 maggio è stato pubblicato il bollettino n.1 2020 dell’Ufficio Studi dell’ENIT che espone un’analisi di settore del 1 trimestre 2020 sull’andamento delle presenze in Italia del turismo internazionale e Italiano. Del documento esteso reperibile al seguente indirizzo internet (www.enit.it/images/amministrazionetrasparenteepe/bollettini/), riportiamo un estratto delle principali informazioni e delle variabili monitorate da Enit e alla fine suggeriamo dieci proposte innovative di intervento a disposizione dei policy makers. Il bollettino si sofferma su diverse rilevazioni rilevanti di seguito riportate.
“Nel complesso la pandemia da covid-19 avrà un impatto significativo sul turismo italiano. Si prevede che i visitatori totali (l’aggregato internazionale e nazionale) diminuiranno del -41% nel 2020 rispetto all’anno precedente.
Ciò equivale a 47 milioni di visitatori in meno.
Oltre a ciò, si prevede che i pernottamenti turistici totali diminuiranno di 154 milioni e la spesa turistica totale di 65 miliardi di euro.
Gli impatti dovrebbero essere molto maggiori per gli arrivi internazionali rispetto ai viaggi nazionali.
Entro il 2023, il turismo complessivamente avrà recuperato i volumi del 2019 e li supererà con un totale di visitatori del +4% rispetto al 2019, trend dettato dal turismo domestico, mentre i visitatori pernottanti internazionali dovrebbero tornare ai volumi 2019 entro il 2023.
I maggiori impatti sui viaggi provengono dai mercati a lungo raggio (60% sotto la linea di base), seguiti da medio raggio (paesi emergenti europei; 51%) e corto raggio (Europa occidentale; 43%).
Si presume che il blocco completo duri tra 4 mesi (anche se con qualche piccola ripresa da fine giugno) e 7 mesi (piccola ripresa da fine settembre).
Entro il 2023, si prevede che tutte le città accoglieranno un numero di viaggiatori maggiore rispetto a quello del 2019. Ciò riflette interamente il trend dei viaggiatori domestici, in quanto il viaggiatore internazionale verso l’Italia ritornerà ai livelli del 2019 entro il 2023”.
“Il traffico aeroportuale internazionale verso l’Italia, nei primi 4 mesi del 2020, è diminuito del -64,8%, per un totale di -655 mila arrivi stranieri negli aeroporti italiani.
Ancora più profonde le diminuzioni delle prenotazioni dal 27 aprile al 7 giugno pari al -88%, ancora connesse alla variazione negativa della Cina (-98,4%) ed al seguito tutti gli altri mercati stranieri, con in coda il dato della Germania (-80,7%)”.
Per il periodo turistico estivo da giugno ad agosto il numero delle prenotazioni in Italia conta 407 mila prenotazioni (in flessione del -68,5% sul 2019), in Spagna 403 mila (-63,7%) ed in Francia 358 mila (66,3%)”.
A valle della impietosa analisi sui numeri che emerge dal Bollettino Enit, ciò che ci preme evidenziare è che il settore turistico, nonostante la inevitabile crisi, impiegherà circa 2,5 anni a recuperare i livelli del 2019 a conferma che il settore turistico culturale rimane in una prospettiva di medio termine un settore trainante e profittevole per il Paese sul quale investire.
Come noto infatti il settore del turismo culturale è di gran lunga la maggiore industria nazionale. Secondo elaborazioni sui i dati ISTAT pubblicati a luglio 2019, il settore ha registrato nel 2018 una crescita del +2% complessivo con 429 milioni di presenze, con 33 mila esercizi alberghieri e 183 esercizi extra alberghieri con una contribuzione al PIL nazionale di circa l’8,9%, che salgono al 10,6% se si considera il settore allargato. Il settore occupa 2,4 milioni persone e vale più dell’auto, della moda e dell’arredamento messi insieme. Non solo. Il turismo presenta un vistoso surplus finanziario con l’estero.
E’ infatti cruciale, reperite le risorse economico finanziarie per fronteggiare la crisi, fare moltissima attenzione alla qualità e la quantità della spesa pubblica da indirizzare verso i principali settori di eccellenza del Paese, costruendo basi solide sulle quali fondare la restituzione del debito pubblico che si sta contraendo.
Uno dei drive di ripartenza e dei settori dove indirizzare gli investimenti, per uscire dalla straordinaria crisi economica del post covid-19, appare quindi in tutta la sua evidenza quello di investire sul nostro patrimonio storico-artistico, in chiave green eco-sostenibile.
IL SETTORE DEI BENI CULTURALI
Secondo alcuni dati forniti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali i privati italiani hanno erogato contributi ed investimenti ai musei Italiani inferiori di circa 3,5 volte rispetto a quanto raccoglie in un anno il solo Metropolitan Museum di New York dai suoi 140 mila sostenitori privati.
Due i motivi individuati che inducono i privati a non investire sulla preservazione “Made in Italy” turistico culturale:
– il regime fiscale e l’assenza di una gamma di incentivi (in parte colmato dal noto Art bonus);
– la mancanza di politiche attive del turismo e dello sviluppo dei beni culturali, unite alla scarsa trasparenza da parte delle istituzioni e degli enti preposti alla gestione del nostro patrimonio artistico.
Infatti, nonostante la presenza di oltre 9 mila tra monumenti, aree archeologiche, musei e siti Unesco, il ritorno economico dei nostri beni culturali è significativamente inferiore a quello di Francia, Regno Unito e Stati Uniti.
Peraltro le maggiori agenzie di rating internazionali, Moody’s, S&P, e Fitch , nelle loro valutazioni sul sistema Italia, continuano costantemente a trascurare, senza un apparente giustificabile motivo, il valore del patrimonio storico, culturale e artistico del nostro Paese che rappresenta la base della sua forza economica.
Forse perché si tratta di un patrimonio non in vendita o di tipo immateriale, ma sarebbe, da un altro punto di vista, davvero quantificabile come un qualsiasi fondo museale.
Infatti l’Italia, come rilevava qualche anno fa PricewaterhouseCoopers, possiede il più ampio patrimonio culturale a livello mondiale con oltre 3.400 musei, circa 2.100 aree e parchi archeologici con un valore stimato della ricchezza producibile di tutto l’indotto della cultura, fino al turismo legato alle città d’arte, che potrebbe arrivare da subito sino al 15,3% del PIL dell’economia nazionale. Nonostante questi dati di assoluto primato a livello mondiale l’Italia avrebbe ancora margini di sviluppo del settore ed è ben lontana dal 21% della ricchezza prodotta dalla Spagna mentre è quasi fanalino di coda per valore assoluto di PIL rispetto ai suoi diretti competitor.
SWOT ANALISYS – PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA
La sintetica analisi dei principali indicatori nel settore turistico e culturale del Paese ci porta a richiamare una serie di proposte coordinate per il settore che essenzialmente mettono a sistema i più evidenti, punti di forza, punti di debolezza, opportunità e minacce, sopra individuati:
Punti di Forza
- La strutturale capacità nel settore turistico-ricettivo;
- Il più grande patrimonio storico e artistico mondiale;
- La varietà e la bellezza del territorio e della posizione geografica;
Punti di Debolezza
- La disordinata ed inefficiente gestione del patrimonio artistico-ambientale
- La difficile “compliance” alle normative di settore
- Lo scarsa sensibilità del settore economico-finanziario al valore turistico-culturale
Opportunità
- Settore ad alto potenziale di crescita
- Possibilità di internazionalizzazione delle opere e dei siti
- Promozione integrata del sistema turistico
Minacce
- Future pandemie
- Aggressione commerciale in corso da parte di soggetti stranieri
- Attacchi finanziari istituzionali e non
Senza volerci addentrare in ogni singola voce dei punti sopra elencati, peraltro di intuitiva intellegibilità, ci sembra oggi utile fornire ai policy makers un elenco di proposte innovative che insieme alle numerose già pervenute possano costituire, per turismo e cultura, spunti innovativi. La riflessione parte dalla considerazione che nella maggior parte dei casi le aziende sono sane e il settore oltre che strategico ha notevoli potenzialità di velocizzare con successo l’uscita dalla attuale crisi, cosa purtroppo non comune ad altri settori, già prima del covid-19, in lenta agonia.
LE 10 PROPOSTE DI POST
Le 10 proposte di POST per il settore turistico ricettivo sono le seguenti:
1. Finanziamenti a fondo perduto e di lungo periodo
Questa proposta, in coordinamento con quelle già poste in essere e da limitare al brevissimo periodo, dovrebbe garantire le aziende del settore per quel che concerne la loro sopravvivenza e, con il placet dell’autorità per la concorrenza europea, potrebbe coprire i costi fissi non comprimibili per il 100% sino a giugno, il 60% sino a settembre e poi il 30% sino a fine anno.
La seconda misura dovrebbe fornire garanzie sovrane non legate al fatturato 2018-2019, ma legate piani di investimento degli operatori per l’innovazione e la ristrutturazione “green” delle le strutture turistiche, nell’ambito di linee guida di un piano nazionale integrato di rilancio del turismo eco-sostenibile. I finanziamenti, con un periodo di preammortamento di solo interessi sino al 2023, dovrebbero avere scadenze almeno ventennali.
2. Protocolli di sicurezza agili ed immediati per la riapertura
La principale emergenza per la riapertura delle strutture riguarda la necessità immediata di protocolli agili di sicurezza per gli operatori ed i loro dipendenti e per i clienti delle strutture. Tali protocolli dovrebbero contemperare le esigenze di sicurezza con una protezione legale degli operatori, nell’ambito di una ragionevole linea di confine delle responsabilità, senza la quale sarà difficile che il settore riparta. I budget turistici previsionali infatti non potranno non tenere conto della notevole minore capacità produttiva connessa ai protocolli di sicurezza e della conseguentemente rideterminata convenienza ad imprendere.
3. Un fondo internazionale di investimento per reperire fonti finanziarie dedicate
Come in passato già sottolineato anche dall’organizzatore del Forum Ambrosetti di Cernobbio, sono disponibili due semplici idee per valorizzare il nostro patrimonio artistico e culturale per creare una collaborazione con il settore privato:
A – creare un sistema di concessioni di parte del patrimonio artistico italiano in cambio di un canone di concessione annuo;
B – costituire un fondo sovrano dei beni culturali dati in concessione con “Golden share” in favore della partecipazione statale aperto agli investitori privati.
Questa proposta che ha generato una levata di scudi da parte dei paladini del patrimonio dei beni culturali, in realtà è molto meno pericolosa delle ormai navigate privatizzazioni, per la semplice ragione che i beni culturali non sono delocalizzabili e che comunque il loro controllo rimarrebbe saldamente in mano pubblica.
Le risorse finanziarie pervenute dagli investitori, la cui entità potrebbe essere stimata in diverse centinaia di miliardi, secondo la dimensione del perimetro scelto, potrebbero andare a finanziarie tutti quegli investimenti nazionali strutturali di rilancio dei beni culturali in connessione con le attività turistico ricettive e, in altra parte andare a diretta riduzione del debito pubblico, dopo una seria e ragionata spending-review.
Il Fondo potrebbe investire anche direttamente nei progetti strutturali ricompresi nei successivi punti per lo sviluppo.
4. Investire e regolare le OTA (Online Travel Agencies)
Come noto nel settore le pochissime OTA (Online-Travel-Agencies) perlopiù internazionali hanno oramai coperto oltre l’80% del mercato nazionale dell’incoming turistico e poco meno di quello dell’outgoing. Le OTA, se da un lato hanno permesso lo sviluppo di micro realtà ricettive e l’aumento del fatturato di settore nel suo complesso, dall’altro, soprattutto negli ultimi tempi, hanno costituito una notevole fonte di compressione dei margini di settore per gli operatori, pari a circa il 20% dei ricavi lordi, che oggi appare non più giustificabile.
Lo sviluppo della tecnologia infatti premia una posizione dominante di pochissimi operatori mondiali a danno dei moltissimi piccoli imprenditori e dell’erario nazionale. Una risposta del sistema Paese a questo fenomeno potrebbe essere inizialmente quello di provare a calmierare il mercato per via normativa, successivamente quello di istituire una OTA nazionale di riferimento che possa fronteggiare la concorrenza a favore degli operatori nazionali. Considerando che buona parte delle attuali OTA sono società di diritto estero che non sottopongono a tassazione in Italia la maggior parte dei loro profitti e non collaborano alla emersione della base imponibile turistica, l’investimento avrebbe un impatto positivo per la finanza pubblica e per il Paese.
5. Investire nei percorsi integrati cultura-turismo-ambiente
Le risorse del fondo sovrano dei beni culturali potrebbero essere investite anche nella progettazione e realizzazione di percorsi turistici innovativi per coniugare cultura-turismo ed ambiente.
Una innovativa proposta turistica oltre a distribuire meglio la domanda sul territorio potrebbe incrementare il valore complessivo delle presenze di nicchia collegate a specifici interessi storico-culturali.
Uno dei drive, in Italia sostanzialmente inesplorato, del turismo internazionale riguarda i percorsi eco-sostenibili del turismo, riferibili essenzialmente a cicloturismo e turismo itinerante. Al momento esistono solo frammentati percorsi, spesso a base provinciale o regionale di scoperta del territorio. Un importante mole di investimenti pubblici in questo settore potrebbe portare ad un sensibile incremento del turismo straniero, soprattutto europeo, oramai da anni focalizzato su questa modalità di viaggio, oltre che lavoro nel settore delle costruzioni.
6. Investire nella internazionalizzazione dei musei e dei beni culturali
Una delle maggiori opportunità riscoperte durante la pandemia covid-19 è stata quella di aprire i musei in modalità virtuale e renderli comunque fruibili ad una vasta platea anche durante il periodo di vigenza delle restrizioni sulla mobilità.
Un secondo passo di tale sviluppo virtuale dei musei può essere indirizzato verso la creazione di prodotti virtuali da parte dei musi e dei poli culturali rivolti principalmente verso i paesi esteri al fine di rendere maggiormente conosciute a livello internazionale le magnifiche opere custodite nei nostri musei.
L’iniziativa avrebbe la non secondaria conseguenza di rendere noti anche i musei minori e di attrarre verso di essi un turismo rinnovato e maggiore, costituendo una possibile fonte di risorse aggiuntive per i musei medesimi, attraverso la realizzazione di mostre virtuali internazionali.
7. Creare un mercato digitale, trasparente e regolamentato dei beni artistici
A livello di Stati nazionali, l’Italia presenta una bilancia dei pagamenti positiva relativamente al commercio di opere d’arte, con importazioni per circa 80 milioni di Euro ed esportazioni che superano i 130 milioni di Euro, ma decisamente insoddisfacente se rapportata alle performance di altri paesi e all’intensità dei nostri “asset”. In questo segmento a livello Nazionale il Regno Unito è leader assoluto con circa 1,9 miliardi di Euro in importazioni e circa 3,2 miliardi di Euro in esportazioni. Segue la Francia con un import per circa 340 milioni ed un export di circa 900 milioni.
Nel 2020 si stima che tale mercato, pubblico e privato, possa muovere nel mondo un valore di oltre 120 miliardi di Euro. Il 52% delle vendite in valore avviene in asta mentre ben il 48% delle transazioni avviene tramite i dealers specializzati con pochi soggetti italiani.
La Cina è diventata il secondo Paese nel mercato dell’arte. Primi nel ranking mondiale rimangono gli Stati Uniti, terza è la Gran Bretagna, quarta la Francia, quinta la Germania, l’Italia è solo sesta, con il 2,8% del fatturato delle aste private. Riportare l’Italia al posto che merita in tale settore è un compito molto delicato, per la materia trattata, ma può costituire un’opportunità di sviluppo importante.
L’ipotesi dello sviluppo di un mercato italiano dei beni artistici ed antiquariali poggia sulla creazione, condivisa da tutti gli operatori del settore, di una piattaforma di scambi comune, basata anche sulla innovativa tecnologia della blockchain, che ne consentirebbe un controllo diffuso nazionale ed internazionale. Si potrebbe creare quindi un mercato regolamentato e presidiato e seguito in tutto il mondo dal controllo Pubblico, supportati da Intermediari del settore, in grado di legittimare e valorizzare il bene artistico ed antiquariale quale asset-class di investimento e di eliminare le numerose asimmetrie informative oggi esistenti, in un mercato per lo più presidiato da case d’asta internazionali.
Modalità di scambio trasparenti e standardizzate e requisiti oggettivi e attendibili attribuiti agli elementi di valutazione dei beni artistici potrebbero valorizzare l’immenso patrimonio artistico spesso abbandonato o depredato.
In un tale scenario s’inserirebbe un’ottica virtuosa di applicazione delle nuove tecnologie a supporto della cultura lungo tutta la catena del valore del bene artistico, con ricadute positive in termini di creazione di valore a partire dall’immenso patrimonio artistico, pubblico e privato.
Potrebbero partecipare al processo di valorizzazione dei beni culturali le risorse istituzionali e finanziarie, pubbliche e private, in ottica di Public and Private Partnership (basti pensare alle straordinarie attività e potenzialità del sistema delle Fondazioni Bancarie in Italia, le fondazioni filantropiche estere etc.) che in modo più efficace e coordinato, finirebbero per rivalutare i “Core asset” disponibili per tale iniziativa facendo leva sulla domanda internazionale qualificata (musei e fondazioni) esistente. Pensare che un Paese come l’Italia rimanga al margine del mercato mondiale della compravendita di opere d’arte risulta mortificante, per il rispetto del patrimonio storico culturale di cui dispone e per la direzione ce potrebbe imprimere verso soggetti mondiali altamente qualificati. Chiudersi nei propri confini non è sufficiente.
8. Semplificazione amministrativa del il contributo di soggiorno
Senza voler scendere nell’aspetto tecnico di riscossione e versamento del contributo di soggiorno e dei fenomeni di evasione ad esso connessi un dato emerge dal riscontro con tutti gli operatori circa la complessa attività amministrativa necessaria per tale tributo locale.
Il contributo infatti viene riscosso a livello comunale ed affiancato da una rilevazione statistica regionale che impongono agli operatori di riscuotere per ogni soggiorno il contributo e di riversarlo trimestralmente all’erario.
Molti paesi internazionali hanno sostituito questo contributo con un tributo nazionale che viene pagato on-line dai turisti stranieri al momento dell’obbligatoria richiesta di visto di ingresso nel Paese visitato.
La creazione di un sito web governativo dedicato per l’accesso al Paese che richiedesse un contributo medio fisso (basato sulle statistiche di presenze media del turismo in incoming) da un lato semplificherebbe notevolmente la gestione amministrativa del tributo, dall’altro ridurrebbe significativamente sacche di evasione o elusione fiscale che danneggiano la finanza pubblica. Per il turismo nazionale potrebbe poi essere studiata una procedura di accreditamento diretto presso le strutture che potrebbe semplificare gli adempimenti amministrativi degli operatori più piccoli.
9. Semplificazione amministrativa per il controllo e l’identificazione dei turisti
Strettamente collegata al punto precedente e la proposta per la semplificazione amministrativa connessa alle comunicazioni obbligatorie da operare nei confronti della Pubblica Sicurezza entro le 24 ore dall’arrivo degli ospiti.
Tale adempimento attualmente si assolve mediante un portale della PS che richiede di inserire tutti i dati del passaporto o del documento di riconoscimento dell’ospite custodendo copia del documento.
Moltiplicato per centinaia di turisti mese l’adempimento nuovamente grava sugli operatori in modo eccessivo e spesso non soddisfa il suo compito di controllo di prevenzione del monitoraggio di presenze potenzialmente pericolose. Il medesimo sito web governativo dedicato di accesso al Paese per gli stranieri darebbe la possibilità per gli operatori di confermare le presenza digitando solo il numero di documento, per i turisti italiani solo il codice fiscale. Inoltre ai fini della Pubblica Sicurezza il controllo sugli accessi esteri sarebbe preventivo e non successivo, e slegato dal tempestivo e corretto adempimento da parte degli operatori.
10. Rendere gratuiti i musei con offerta libera e puntare sul merchandaising
Sempre PricewaterhouseCoopers, circa dieci anni fa, presentava un rapporto “sul valore dell’arte: una prospettiva economico – finanziaria” che purtroppo riflette ancora la situazione attuale e da cui è presa la tabella successiva e da cui si evince un forte gap competitivo del ritorno economico del patrimonio artistico- culturale italiano rispetto agli altri paesi ed una scarsa capacità da parte del sistema Italia di sviluppare il potenziale del nostro paese.
Fonte Tabella: studio di PricewaterhouseCoopers |
L’Italia, nonostante possegga il più ampio patrimonio culturale a livello mondiale con oltre 3.400 musei, circa 2.100 aree e parchi archeologici e 43 siti Unesco, registra ancora un ritorno economico degli asset culturali inferiore a quello della Francia di circa 4 volte e a quello del Regno di 7 volte.
La prima risposta a questo, con qualche risultato positivo, è stata quella di chiamare manager stranieri del settore per riorganizzare i principali siti archeologici e poli museali del Paese.
Tuttavia, a fronte della ricchezza del patrimonio culturale italiano, in Europa ci posizioniamo al di sotto della media di contribuzione al PIL dei principali Paesi europei pari al 14%. L’Italia infatti con il 13% è ben lontana dal 21% della best performer Spagna ed è ultima per valore assoluto di PIL.
I ricavi complessivi dei bookshop dei musei statali italiani raggiungono nel loro complesso il 38% del solo Metropolitan Museum, e sono simili a quelli del solo Louvre in Francia.
A fronte di tale performance nazionale sarebbe necessario provare a sperimentare nuove vie di incremento delle presenze e dei ricavi dei nostri poli museali, rivedendone da un lato l’esposizione, in senso maggiormente innovativo e divulgativo, dall’altro adottando i sistemi tariffari ampiamente utilizzati nei paesi anglosassoni.
In tali Paesi infatti si è scelto da tempo di rendere accessibile a tutti i musei gratuitamente (o con offerta minima/libera all’entrata) e di puntare fortemente alla promozione del merchandising.
Diversi studi in materia sostengono che gli effetti finali di tale approccio sarebbero di aumentare il numero dei visitatori, aumentare il ritorno economico dei beni culturali e aumentare il livello culturale della popolazione; per questo a nostro avviso sarebbe una proposta supportata da un certo grado di probabilità di successo.