I sistemi di Business Intelligence sono determinanti per la crescita economica. In quest’ambito gli enti pubblici assumono una funzione rilevante per i servizi digitali erogati all’utenza. La Pubblica Amministrazione italiana, pur disponendo di una dotazione tecnologica che non si discosta da quella di altri Paesi europei, presenta dei ritardi che devono essere colmati.
di Alessandro G. Carlizzi
La Business Intelligence nelle economie avanzate
La Business Intelligence oltre ad essere una metodologia d’analisi costituisce un approccio all’indagine e all’osservazione che ha favorito lo sviluppo delle economie negli ultimi decenni.
I sistemi di supporto alle decisioni sono stati basilari per la politica monetaria che attraverso strumenti finanziari innovativi ha contribuito al progresso dei Paesi occidentali.
Le tecnologie digitali, combinando milioni di dati, hanno prodotto informazioni garantendo la crescita e la centralità dei Mercati. Grazie a questo processo, ogni individuo ha potuto ottimizzare non solo gli investimenti, i risparmi ed i consumi ma orientare consapevolmente le proprie decisioni, per mezzo di un attento percorso di apprendimento.
In questo modo, il metodo analitico d’indagine è diventato una peculiarità della società e della cultura contemporanea. La strategia che ricerca il vantaggio competitivo elaborando dati per conseguire informazioni e conoscenze si è traslata dalle organizzazioni aziendali al singolo utente che agisce secondo le modalità dell’“Homo economicus” descritto nelle teorie economiche classiche.
Questo procede secondo scelte razionali dove nulla è lasciato al caso; egli fissa previsioni ed analizza i fatti circostanti in modo da attivare le opzioni che massimizzano il benessere. La “Teoria della Mano invisibile” smithiana è diventata, quindi, “dottrina inconscia” che permea i comportamenti delle società a tutti i livelli, dalla produzione ai consumi, dal capitale, al lavoro.
Il cittadino si identifica nell’operatore economico che, una volta visionati i dati di cui dispone, seleziona le alternative più efficienti secondo un meccanismo in cui i sistemi di supporto alle decisioni diventano decisivi.
Tutto è funzione dell’Economia – e della tecnologia che la sottintende – che fa del “Foglio di calcolo” un vero e proprio “veicolo di pensiero”, da trasferire alle generazioni future secondo un procedimento virtuoso che si autoalimenta.
Il caso della Pubblica Amministrazione italiana
La Business Intelligence nel nostro Paese presenta delle caratteristiche che in qualche misura si discostano dall’approccio appena descritto. L’Italia, infatti, è caratterizzata da una insieme di fattori che causano un rallentamento nella fruizione dei sistemi di supporto alle decisioni.
L’arretramento demografico, gli scarsi investimenti nella formazione d’eccellenza, nella scuola e nell’educazione in generale non hanno favorito quel percorso naturale di “svecchiamento” che ha caratterizzato altre nazioni, dove l’”approccio al nuovo” ha prodotto scelte più adeguate.
In particolare, le Istituzioni italiane ancora oggi pongono un innato ostruzionismo nei confronti dell’utilizzo degli strumenti digitali sebbene presenti nella realtà italiana al pari di altri Paesi europei.
Il caso emblematico è costituito dalla nostra Pubblica Amministrazione che vede nella sua burocrazia il segno dei tempi e del ritardo del nostro Paese. Uno studio del Fondo Monetario Internazionale ha mostrato che la lentezza dell’apparato statale pesa almeno 2 punti percentuali sul PIL italiano [cfr. IMF, Italy, article IV consultation – Press release; staff report; and statement by the executive director for Italy, 2015].
La situazione è più marcata se confrontiamo i dati su base territoriale ovvero se raffrontiamo le regioni del Nord Italia con quelle del Mezzogiorno e queste con altri territori depressi del vecchio continente.
Un’indagine elaborata su dati della Commissione Europea sulla qualità della Pubblica amministrazione ha indicato che su 206 territori analizzati sette regioni del Sud Italia si collocano nelle ultime 30 posizioni: la Sardegna al 178mo posto, la Basilicata al 182mo, la Sicilia al 185mo, la Puglia al 188mo, il Molise al 191mo, la Calabria al 193mo e la Campania al 202mo posto. Solo tre regioni turche e una bulgara presentano un risultato peggiore della pubblica amministrazione campana.
Al di sotto della media si trova financo il Veneto al 129mo posto e l’Emilia-Romagna al 132mo mentre in via residuale spicca al 36mo posto la provincia autonoma di Trento e al 39mo posto quella di Bolzano. Anche l’European Quality of Government Index (EQI), che misura la bontà degli enti sulla base di una serie di indicatori espressi su scala regionale, evidenzia una palese difficoltà della nostra PA.
Dalla rilevazione emerge un posizionamento molto al di sotto della media europea che danneggia sia imprese che utenti che vedono nella pubblica amministrazione un ostacolo per le loro attività.
Di seguito le evidenze con le differenze emerse tra le regioni oggetto d’indagine. [cfr. European Commission, ANTICORRP 2012-2017 – European Commission, EQI, Gothenburg University, 2017].
Tra i fattori esogeni di ritardo della PA italiana occorre considerare anche il fenomeno del “Digital devide” definito come “il divario esistente tra chi ha possibilità di accesso effettivo alla tecnologia e chi invece no, parzialmente o completamente”.
Secondo recenti dati ISTAT questo gap riguarda circa il 25% di italiani che non possono godere dell’accesso ad internet veloce. Questa percentuale arriva al 66% circa nel caso di famiglie composte esclusivamente da persone ultrasessantacinquenni tale da rendere il fenomeno preoccupante soprattutto in termini intergenerazionali [cfr. Istat, Report “Cittadini e ICT”, dicembre 2019].
Un paradosso, oltretutto, se pensiamo alla crisi demografica del nostro Paese e al fatto che proprio gli anziani dovrebbero trarre maggiori benefici dallo sfruttamento della banda larga.
Tutto questo in presenza della crescita esponenziale dei “Big Data” che potenzialmente garantirebbero alla PA una disponibilità pressoché infinita di dati “aperti”; dati che, se ben sfruttati, potrebbero efficientare l’intera macchina statale grazie a strategie ad hoc di Business Intelligence.
Con questo scopo, “l’Agenzia per l’Italia Digitale ha lanciato nel 2017, all’interno del Piano Triennale per l’Informatica nella PA 2017 – 2019, il Data & Analytics Framework (…) con l’obiettivo di ottimizzare lo scambio delle informazioni all’interno della PA (…).Mettere insieme i dati, analizzarli e fornire ai decisori pubblici delle visualizzazioni dei risultati semplici e immediate può modificare radicalmente la strategia in ottica data-driven, rendendo più efficaci, tempestive ed efficienti le azioni delle pubbliche amministrazioni, spesso percepite come ritardatarie se non poco competenti” [cfr. I. Di Deo, Big data e banche dati nella pubblica amministrazione, Gennaio 2018].
L’obiettivo dei prossimi anni, quindi, sarà quello di integrare le base dati dei vari enti in modo da strutturare “Data Center” che siano in grado di movimentare una mole ingente di processi misurabili su ordini di grandezza dei zettabytes.
Negli ultimi anni sono stati fatti molti progressi per ridurre l’eterogeneità delle tecnologie e degli applicativi utilizzati. Il fenomeno ha riguardato soprattutto i sistemi di Business Intelligence collegati al computo delle anagrafiche della popolazione, dei dati catastali, territoriali e dei dati attinenti alla fiscalità.
Proprio il recupero dell’evasione fiscale costituisce la vera sfida per la PA che via via sta introducendo sistemi di elaborazione, trasformazione e presentazione dei dati sempre più omogenei ed integrati tra loro, in grado di dissolvere la frammentazione che da sempre caratterizza il nostro Paese.
Lo skill gap nella PA come principale fattore di rallentamento
In questo contesto, però, la PA, come avviene per l’intero sistema produttivo italiano, ha un problema atavico legato al limitato aumento della produttività del lavoro sebbene l’introduzione delle tecnologie digitali abbia favorito alcuni processi.
Una recente analisi del Politecnico di Torino ha evidenziato che la mancata crescita della produttività nel nostro Paese dipende dalla “bassa qualità delle pratiche manageriali” e dalla “carenza di competenze”.
L’effetto combinato di questi fattori incide maggiormente sulla produttività rispetto ad altri parametri notoriamente sfavorevoli quali la burocrazia, le leggi sul lavoro e il costo dell’energia.
Non è un caso che per la PA emerga “…un quadro negativo sulle capacità di utilizzo di dati e strumenti volti a gestirli (…).
Manca un approccio strutturato per portare le analytics evolute nelle priorità delle PA, collegandole con gli obiettivi strategici e facendo leva su quelle nuove competenze che non riescono a maturare nel contesto delle pubbliche amministrazioni italiane. In pratica, non è solo una questione di tecnologie o di esperti IT; il vero problema è, piuttosto, la possibilità di sviluppare progetti interessanti ma che in larga parte non vengono svolti per mancanza di competenze” [cfr. Agenda Digitale, P. Neirotti, E. Paolucci, D. Pesce – Politecnico di Torino, gennaio 2020].
Il tutto, inoltre, genera un problema di trasparenza dei dati e di disponibilità di accesso a contenuti “a valore aggiunto” che diversamente darebbero un impulso non solo al PIL ma al benessere tout court dei singoli individui.
Questi, ove sufficientemente “informati” potrebbero fruire di servizi più efficienti con un ritorno immediato sulla qualità della vita. A tal proposito, basti pensare ai vantaggi derivanti dall’assistenza sanitaria pubblica che vedrebbe nella migliore capacità diagnostica e nella personalizzazione dei trattamenti solo uno degli aspetti più interessanti; e ancora, alle soluzioni di Smart Mobility in ambito urbano che per mezzo di analisi di Business Intelligence avrebbero effetti positivi sull’ambiente cittadino nel suo complesso.
Inoltre, repository centralizzati potrebbero garantire un approccio più efficace della PA nel settore turistico attraverso l’intreccio di dati associati all’anagrafe delle strutture ricettive, all’ISTAT e alle Questure in modo da analizzare i flussi turistici in relazione alla effettiva domanda e all’offerta.
Le strategie di Business intelligence attiverebbero così iniziative volte ad ottimizzare l’afflusso nei territori o nei settori turistici ad alto potenziale ma sottoutilizzati per mancanza di una visione sistemica.
Nuove iniziative e segnali di ripresa
In questo contesto, i vari Governi succeduti negli ultimi anni hanno cercato di mettere in atto, d’accordo con gli enti pubblici, una serie di interventi utili a recuperare il divario non più sostenibile.
“Iniziative come Repubblica Digitale, il Piano Industria 4.0 per finanziare le imprese per acquisire competenze, le misure sul fronte “Smart city & Smart mobility” (…), il sostegno alle startup innovative (…), gli sforzi per riformare il procurement innovativo, i voucher per consulenza in innovazione (Innovation Manager) a favore di micro, PMI e reti di imprese, insieme all’imminente avvio operativo del Fondo Nazionale Innovazione, sono tutti interventi utili a colmare il digital skill mismatch e a ridare vigore a una crescita economica che stenta a produrre risultati positivi”. [cfr. G. Ruggiero, Big Data Analytics, gennaio 2020].
Gli enti, pertanto, stanno incoraggiando l’utilizzo delle nuove tecnologie ICT e di nuovi strumenti di elaborazione dei dati con l’obiettivo di favorire lo sviluppo delle competenze e ridurre il tasso di analfabetismo digitale” che caratterizza il nostro Paese.
Il progetto strategico “Repubblica Digitale” evidenzia il ruolo della PA italiana che nel complesso sta promuovendo quasi un terzo delle iniziative attivate finora in Italia.
Iniziative Repubblica Digitale
Nell’ambito dell’accordo MiSE-AgID su “Smart city & Smart mobility” è cruciale l’area d’intervento denominata “Strumenti di supporto alle decisioni che consentano di prevedere i flussi di traffico e gli scenari di mobilità” ad indicare l’importanza che assume la BI nelle politiche degli enti interessati. [cfr. Agenzia per l’Italia Digitale, Smart mobility: verso la consultazione di mercato, marzo 2020].
Quindi, un’amministrazione pubblica che vorrà rendersi più efficiente non potrà fare a meno di sistemi di Business Intelligence e di strategie guidate dall’analisi di milioni di dati utili alla crescita di nuove conoscenze a cui associare le nuove competenze dell’era digitale.
Solo così gli enti pubblici potranno garantire migliori prestazioni, trasparenza e pianificazione attraverso l’individuazione di criticità, di metodologie di ottimizzazione e di trasformazione di procedure manuali disomogenee in “processi collaborativi automatizzati”.
Il tempo in cui uno qualsiasi dei Comuni italiani potrà fornire ai suoi cittadini un servizio BI guidato da un modello di mutuo riconoscimento non dovrà essere troppo lontano.
Tutto ciò favorirà un rapporto virtuoso tra PA e Utenza che si potrà realizzare sia in termini di tempi di risposta che di performance operative adatte alle attuali necessità dell’Homo economicus che agisce nel nostro Paese.