L’AI è già fra noi: la usiamo quando conversiamo con Siri, Cortana e Alexa o qualunque altro ChatBot. La usano gli algoritmi dei social network e i motori di ricerca. È ora di parlare di ostacoli e di fattori abilitanti
Di Alfredo Maria Garibaldi
Quando si parla di Intelligenza Artificiale, nell’immaginario collettivo si tende a pensare ai robot antropomorfi sullo stile dei replicanti di Blade Runner che ci sono stati consegnati dalla cultura cinematografica fantascientifica. Per quanto queste suggestioni abbiano un fascino e una presa che resistono nel tempo, chi di mestiere si occupa della materia sa che la realtà è molto diversa dalla fantasia.
Come è sempre più evidente, oggi l’Intelligenza Artificiale – a AI – è già fra noi, ma non ha affatto le sembianze di robot umanoidi. Un numero crescente di persone la utilizza tutti i giorni: la usiamo quando conversiamo con Siri, Cortana e Alexa o qualunque altro “assistente virtuale” – i cosiddetti ChatBot. È usata anche dagli algoritmi dei social network per studiare e stimolare le interazioni fra utenti. È usata nei motori di raccomandazione che ci consigliano acquisti di oggetti o contenuti quando navighiamo in rete.
Ma anche quando facciamo ricerche su Google, Bing e altri motori di ricerca evoluti o quando ci facciamo guidare da Google Maps o usiamo Uber stiamo sfruttando l’AI. In futuro la useremo con i veicoli a guida autonoma – una frontiera ancora aperta su cui si sta investendo sempre di più. Negli ospedali porterà a grandi cambiamenti se, come sembra, la tele-chirurgia robotica diventerà una pratica consolidata.
Cosa hanno in comune tutte queste soluzioni basate sulla AI? La disponibilità di tonnellate di dati su cui “scatenare” l’AI a costruire un suo modo di interpretare i fenomeni e rispondere poi a domande fatte in linguaggio naturale. Applicazioni che sono state sviluppate soprattutto negli ultimi anni, ma che, in realtà, hanno una storia ormai decennale.
Anche se nella percezione comune non sembra così, l’AI non è una disciplina recente. La nascita ufficiale del concetto risale alla metà degli anni 50 del passato millennio, ma seppure con picchi di “notorietà” temporanei è sempre rimasta nella sua nicchia prevalentemente accademica e in campi di applicazione pionieristici. Uno dei primi “salti di specie” dal mondo accademico al mondo industriale avvenne agli inizi degli anni ‘80 quando la Digital Equipment Corporation utilizzò un sistema di AI chiamato R1 per ottimizzare la gestione degli ordini per i nuovi computer.
Ma il cosiddetto “Inverno dell’AI” è finito al termine dello scorso secolo. Da quel momento è stato un crescendo lento ma costante, sebbene limitato dalla potenza computazionale necessaria per raccogliere e elaborare/macinare quantità di dati enormi. Negli ultimi 5 anni la crescita ha assunto invece una forma esponenziale per una serie di fattori e trend convergenti:
-La Legge di Moore, secondo cui la potenza computazionale dei chip è destinata a raddoppiare ogni 18-24 mesi, ha continuato a fare il suo corso.
-La crescente digitalizzazione dei processi e delle interazioni digitali fra individui comporta la produzione di enormi quantità di dati che sono necessari per alimentare l’IA a raffinare i propri “meccanismi decisionali”.
-La connettività a banda larga che consente di accedere ad enormi fonti dati distribuite superando la necessità di accentrarle in silos.
Gli ostacoli alla diffusione dell’AI in Italia
In questo momento gli ostacoli a una maggiore diffusione della AI sono rappresentati da:
-carenza di competenze nella domanda;
-diffidenza sui reali benefici: si è diffidenti verso ciò che non si conosce bene. Un esempio: i veicoli a guida autonoma suscitano ancora molta diffidenza, ma se si arrivasse a mettere a punto una tecnologia veramente avanzata, i benefici potrebbero essere molto grandi, visto che gli incidenti su strada sono la prima causa di morte in molti Paesi nel mondo se si escludono le malattie (tumori, patologie cardiocircolatorie, etc);
-gestione e controllo della Privacy dei Dati Personali;
-qualità del patrimonio informativo su cui l’AI addestra i propri algoritmi. L’AI è come uno studente che deve apprendere dai libri. Se i libri sono mancanti di capitoli ed hanno pagine stralciate, la qualità dell’apprendimento si riduce. Lo stesso succede se l’AI non ha a disposizione dati completi e di qualità su cui formarsi.
-questioni etiche: quali decisioni possiamo delegare all’AI e quali no? Nei Paesi occidentali il dibattito su queste delicate questioni è molto acceso. Ad esempio, la Commissione Europea di recente ha pubblicato la proposta di regolamento sull’approccio europeo all’AI. La proposta valuta i rischi dell’AI e ha l’obiettivo di “assicurare che i cittadini europei possano beneficiare di nuove tecnologie sviluppate e operanti in conformità ai valori, ai diritti fondamentali e ai principi dell’Unione”.
-timori occupazionali: come in altri momenti storici, l’idea che le macchine (in questo caso quelle dotate di AI) sottraggano posti di lavoro alle persone crea timore e paura. Ma ogni ondata innovativa non distrugge solo posti di lavoro, ne crea anche di nuovi: secondo il World Economic Forum entro il 2025 oltre 80 milioni di posti di lavoro potrebbero essere sostituiti da un cambiamento nella divisione del lavoro tra esseri umani e macchine, ma potrebbero anche emergere 97 milioni di nuovi ruoli più adatti alla nuova divisione del lavoro tra esseri umani, macchine e algoritmi.
I fattori abilitanti dell’AI
Gli elementi abilitanti su cui puntare sono:
-formazione specialistica delle nuove generazioni: come dimostra lo studio dell’Osservatorio Stem della Fondazione Deloitte, in Italia ci sono troppi pochi profili professionali Stem. Anche in campo AI bisogna rafforzare le competenze dei nostri giovani e puntare più decisamente su questo tipo di formazione;
-connettività: il nostro paese ha bisogno di “Autostrade per la comunicazione digitale”. Le risorse del Next Generation Eu costituiscono un’occasione unica in questo senso;
-revisione dei modelli organizzativi delle imprese per aprire a nuove professionalità.
Come il privato può supportare il pubblico nella realizzazione di soluzioni abilitanti per i decision maker
Il ministero dello sviluppo economico ha rilasciato prima dell’estate 2020 un documento ufficiale di “Strategia Italiana per l’Intelligenza artificiale” elaborato da un team di esperti del mondo accademico e del mondo “commerciale” fra cui anche noi di Deloitte. Deve però seguire un piano attuativo affinché il documento non resti lettera morta. Devono essere create le condizioni affinché l’adozione su larga scala dell’AI porti benefici all’intera comunità di cittadini.
Come già sottolineato, per costruire una strategia di lungo periodo bisogna partire dalla formazione. L’AI e i concetti base che ci sono dietro devono essere diffusi sin dalle scuole primarie, come avviene attualmente con le lingue perché di fatto è come apprendere una nuova lingua, una nuova forma di pensiero e di interazione. Una mossa di questo tipo, inoltre, potrebbe impedire che l’AI si trasformi in una ulteriore causa di divario e disuguaglianza nella società.
Oltre alla scuola dell’obbligo, ci sono altri strumenti con cui l’AI e altre tecnologie di frontiera possono e devono essere divulgate. Bisogna creare da ora le basi per nuovi mestieri, molti dei quali non sappiamo neanche quali saranno. Entro il 2030, infatti, i lavori ripetitivi saranno quasi dimezzati e gestiti da macchine, mentre cresceranno nuovi mestieri dove la carta vincente sarà la non ripetitività, la creatività e l’istinto.
Nel breve-medio termine, invece, è fondamentale puntare sul connubio e la sinergia fra i 3 poli:
-Mondo della ricerca (università e poli specialistici)
-Mondo dei servizi tecnologici e industrializzazione (offerta)
-Mondo commerciale e mondo Pubblica Amministrazione (domanda)
I casi di applicazione ci sono già e sono di impatto anche solo limitandoci al solo mondo del pubblico servizio:
-Utilizzo di sensoristica e AI per il monitoraggio e la manutenzione preventiva delle infrastrutture (ponti, gallerie, dighe, edifici, etc) e grandi impianti industriali.
-Mobilità e Trasporti per abbattere l’impatto ambientale e ridurre i tempi di spostamento.
-In ambito Cyber Security applicazione per migliorare i metodi di contrasto alla delinquenza digitale.
-Ottimizzare i servizi della PA verso il cittadino mettendo a fattor comune l’ingente patrimonio informativo a disposizione.
-Valorizzare gli Open Data prodotti dall’ecosistema della PA Locale e Centrale nonché dagli enti di pubblico servizio.
Tantissimi sono anche i casi di applicazione nel mondo commerciale per l’automazione dei processi, la prevenzione di guasti e incidenti, l’assistenza alla clientela, la sicurezza dei lavoratori e la gestione del capitale umano.