Cosa succederà da qui a un anno nel nostro Paese a causa della pandemia? Trattando i principali fattori dell’interesse nazionale, vengono evidenziate alcune tendenze, gra cui spiccano il disagio sociale, le tendenze separatiste del Nord, gli appetiti delle multinazionali Suo nostri asset nazionali, il ridimensionamento delle nostre piccole e medie imprese, la diffidenza verso l’Unione Europea”
Di Luigi Barberio, Roberto Macheda e Francesco Napoli
Ricercatori della Società Italiana di Intelligence
Per cercare di comprendere quello che sta accadendo gli strumenti di analisi dell’intelligence possono essere estremamente utili per cecare di definire delle policy pubbliche possibili e rispondenti.
A questa logica risponda l’approfondimento economico e industriale di questa fase caratterizzata dalla pandemia globale.
Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, l’economia mondiale sarà caratterizzata da una decrescita del PIL del 3% nel 2020. Il “Great Lockdown” è stato definito la recessione peggiore dalla Grande Depressione degli anni ‘30.
Già nel 2019 l’economia globale ha subìto un significativo rallentamento, dovuto principalmente alla“guerra dei dazi”. Una dinamica che, verosimilmente, ha contribuito a consolidare la tendenza al reshoring, che potrebbe determinare processi di de-globalizzazione, invertendo il trend globalista finora in atto. In questo quadro s’innesta l’emergenza Covid-19, che ha determinato una fase di recessione atipica.
Uno shock esterno che ha colpito l’economia come un meteorite, con un effetto congiunto su offerta e domanda. Al progressivo blocco di molte attività economiche si è associato un crollo della domanda di beni e servizi, tanto sul mercato interno quanto su quelli esteri.
Un’emergenza che il Governo ha cercato di fronteggiare con il D.L. “liquidità” del 7 aprile 2020. Il meccanismo scelto appare però poco funzionale alla dimensione del problema.
Infatti, è stato delegato al sistema bancario il reperimento della liquidità, in un settore ingessato dalle regole di Basilea che impone soglie di patrimonializzazione, propedeutiche all’erogazione dei prestiti alle imprese.
Vista la particolare struttura produttiva del Paese, è utile approfondire il ruolo delle piccole e medie imprese, spina dorsale del sistema economico. A tal fine gli interventi dovranno essere massivi e in relazione agli sviluppi sanitari.
Occorre un approccio equilibrato che non ponga in conflitto la tutela della salute e la necessità di far ripartire le imprese.
La ripartenza nel secondo semestre 2020 sarà verosimilmente frenata dalla debolezza della domanda di beni e di servizi.
Secondo l’FMI, l’economia italiana sarà tra le più deboli al mondo. Al netto dei correttivi, nel 2020 il PIL italiano si attesterà intorno al – 9,1%. La perdita di produttività implica l’aumento della povertà e delle disuguaglianze. Esiste un elevatissimo rischio di tenuta economica che, inevitabilmente, potrebbe sfociare in un diffuso disagio sociale.
Al sud l’emergenza economica si inserisce in una situazione di fragilità strutturale, dovuta alla stratificazione di più crisi, che ha ridotto molti servizi, sia come quantità che come qualità. Infatti, secondo Demoskopika, le regioni del Sud registrano gli indici di perfomance sanitaria più bassa d’Italia.
Al nord, in particolare in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, che sono regioni maggiormente colpite dall’epidemia, si potrebbe assistere alla perdita di circa il 3,6% del PIL, pari al 40% della perdita prevista su scala nazionale.
La forte recessione economica, rischia di diventare una depressione, con inevitabili implicazioni negative sul forte incremento della disoccupazione e potrebbe rendere travolgenti le spinte secessioniste e all’autonomia differenziata da parte delle regioni ricche. Tendenza analoga rispetto alle spinte per l’uscita dell’Italia dall’UE, che registrano sempre maggiori consensi.
A livello industriale, si profilano una serie di minacce, ulteriori, per la sicurezza nazionale.
Pare inevitabile l’indebolimento delle attività economiche dei settori strategici: energia, trasporti, acqua, salute, comunicazioni, media. Sono a rischio anche i comparti in cui sono presenti le nostre multinazionali “tascabili”, aziende che rappresentano l’imprenditoria italiana nei settori dell’intelligenza artificiale, della robotica, del packaging, delle macchine utensili, della difesa, delle biotecnologie. Queste ultime diventano potenziali prede d’interessi economici stranieri e criminali.
In questi giorni, sono molteplici le stime prodotte, così come le proposte d’intervento. In base alle nostre valutazioni, i seguenti aspetti meritano particolare attenzione, poiché si ricollegano al tema del disagio sociale:
– Interventi economici tempestivi. La velocità d’intervento diviene il fattore critico di successo di qualsiasi politica economica emergenziale, partendo dal presupposto che per garantire la tenuta democratica del Paese, è necessario preservare il tessuto sociale. A tal fine è imprescindibile il mantenimento dei livelli occupazionali pre-crisi, peraltro già problematici.
– Estendibilità delle misure. Si intende la possibilità di ampliare le misure in termini di durata e dimensione, estendendole ai settori che avranno bisogno di più tempo per la ripresa, anche dopo la fine del lockdown.
In tema di Policy si propongono interventi economici anticiclici, con una visione di lungo respiro; investimenti pubblici e privati (project financing) in infrastrutture fisiche e tecnologiche con snellimento delle procedure; immediata cantierizzazione delle opere già finanziate; il sostegno tempestivo a famiglie e imprese, con sostegni al reddito, incentivi a fondo perduto per gli investimenti aziendali ed immediato smobilizzo dei crediti verso la Pubblica Amministrazione.
Dovrebbe essere responsabilmente previsto un blocco delle operazioni straordinarie nei settori strategici, migliorando il golden power. In questa fase, sarebbe opportuno vietare la vendita di quote e azioni degli asset strategici.
Nei settori più colpiti dall’emergenza, la ridefinizione degli spazi delle aziende economiche e commerciali richiederà ingenti investimenti e la riduzione delle attività inciderà negativamente sulla produttività, pertanto dovranno essere sostenuti con adeguati sussidi.
Occorre creare le condizioni per incentivare il rientro delle aziende e contrastare il dumping fiscale e finanziario (degli spread), quale fattore competitivo dei Paesi con un fiscalità di vantaggio e un minor costo del denaro, con la costituzione di numerose ZES e interventi fiscali volti a impedire maggiori oneri finanziari.
E’ necessario favorire reshoring e nearshoring, con l’obiettivo strategico di dare maggiore capacità di resistenza alle proprie catene del valore.
L’impatto del reshoring può essere rilevante anche per l’indotto, che viene spesso riportato in madrepatria insieme alle produzioni aziendali, con effetti positivi sull’occupazione.
Sarebbe opportuno focalizzarsi sull’introduzione massiva dell’ICT e dell’intelligenza artificiale nelle produzioni industriali e nello stesso tempo creare dei Cyber-Physical Systems che consentano un’interazione continua tra i macchinari, determinando una maggiore flessibilità e un uso più efficace delle risorse.
Le politiche industriali dovrebbero massimizzare gli investimenti in ricerca e sviluppo in partnership con le Università per realizzare tecnologie avanzate, rilanciando l’industria 4.0. Sarebbe utile favorire il reimpianto industriale, prevedendo possibilmente crediti d’imposta fino al 100% dei costi.
A fronte delle minacce che si stanno profilando, l’intelligence economica diventa una parte rilevante delle attività dell’intelligence istituzionale, da sviluppare in modo accentuato insieme all’intelligence fiscale, che può svolgere un ruolo determinante per l’adozione di misure anti dumping fiscale e agevolare il reshoring.