Il divario intergenerazionale all’epoca del Covid

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Da più parti sta emergendo la convinzione secondo cui il lockdown generalizzato imporrebbe ai giovani la tutela di un rischio corso essenzialmente solo dagli anziani.

Se questo è vero occorrerebbe da subito porsi l’interrogativo se fosse possibile separare fisicamente e socialmente questi ultimi dai giovani, che potrebbero così proseguire la loro normale attività di affetti, relazioni nonché quella legata alla scuola e al lavoro.

Di Gaetano De Vito

Non sembrerebbe che ci siano studi approfonditi che possano affermare la possibilità di separare soggetti a rischio da quelli a meno rischio se non in modo occasionale, temporaneo e non scientifico. Inoltre da più parti si ritiene che questa separazione oltre ad essere practically impossible è anche highly unhetical ovvero praticamente impossibile e altamente immorale.

Di la da queste osservazioni, da cui prescindo e non commento in quanto non competente, mi preme osservare come durante questa pandemia l’interferenza generazionale sia da osservarsi con una certa attenzione posto che il trasferimento di conoscenze, di esperienze e soprattutto di patrimoni anche non monetari, attraverso un patto tra anziani garantiti e giovani senza garanzie, sia diventato di stringente attualità.

Nel paragonare i cambi generazionali a onde in successione, che quindi arrivano con una certa scansione, va senz’altro preso atto che alcuni grandi eventi come guerre o pandemie alterano senz’altro la distanza tra una cresta e l’altra dell’onda.

Se per questioni morali dobbiamo comunque ritenere che gli anziani debbano essere messi nella condizione di poter essere tutelati da rischi enormi e che quindi i giovani debbano sacrificarsi anche per il loro bene non ci si dovrebbe però limitare a ringraziare l’alta moralità di chi decide questi percorsi ma anche fare quanto possibile per dare ai giovani la possibilità di riprendersi il futuro attraverso compensazioni che dovrebbero far riflettere.

Sono dell’idea che la migliore strada sia quella di accelerare il trasferimento generazionale per assicurare la continuità verso i giovani che stanno rinunciando a un pezzo di futuro.

Senza alcun egoismo ma con la convinzione di continuare a tutelare la vecchia generazione raccogliendo anche momenti di alta gratificazione proprio per accingersi a passare il testimone. Vuoi che a passare sia l’azienda, vuoi che siano i risparmi, vuoi, infine, che sia lo Stato ad offrire larghe prospettive ai giovani che studiano, lavorano o ricercano e innovano.

Ne dovrebbe conseguire:

  • Che la fiducia nei giovani deve fare un passo in avanti, magari anche prendendo alcuni rischi. Che questa fiducia pertanto, attraverso l’attività degli anziani che passano il testimone a esempio della propria impresa, debba comunque essere sottoposta a controllo, per poterla anche revocare nei casi più gravi di dispersione di patrimoni affidati anzitempo;
  • Che i risparmi, tenuti fermi con l’intento di mantenere patrimoni immobili che non rendono nulla in termini di crescita di PIL, trovino il modo di essere impiegati verso le attività di innovazione, ricerca e aumento della produttività nel nostro paese nonché impiegati in attività filantropiche.
  • Che i Governi guardassero con la più alta attenzione all’investimento di risorse verso i giovani. Premiare Start up e investimenti in ricerca e sviluppo è sicuramente nelle corde degli ultimi esecutivi ma se guardiamo bene la conduzione e l’indirizzo delle agevolazioni passa sempre per strumenti difficilmente raggiungibili dai giovani senza il filtro di chi possiede già cospicui patrimoni.

Mentre i primi due punti riguardano scelte appartenenti al settore privato il terzo punto riguarda responsabilità di Governo che appartengono al pubblico. Qui le scelte politiche non dovrebbero sbagliare.

Studiare l’impiego di risorse per la crescita dei giovani anche a discapito di sovvenzioni, come a esempio il reddito di cittadinanza in larga scala, che inibiscono la crescita di un paese già demotivato, costituirebbe una delle prime responsabilità.

Non entro nel merito di come attuare questo percorso. Tuttavia generare un’assenza di soluzione di continuità nelle filiere costituite da imprese di eccellenza incubatori, soprattutto piccole e medie, Università e start up innovative costituirebbe senz’altro un tangibile passo in avanti.

Ma realizzabile solamente se i soldi sono certi, di importo congruo e acquisibili senza filtri di sorta da attribuire direttamente alla filiera tramite crediti d’imposta.

Oggi purtroppo le sovvenzioni dirette alla ricerca e all’innovazione sono ridotte al lumicino. Inoltre bisogna fare i conti con l’interpretazione di manuali (di “Oslo” e di “Frascati”) che mettono gli operatori nell’incertezza più totale fino a rinunciare a questi benefici tenuto conto degli ingenti rischi di sanzioni non solo monetarie ma anche penali.

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