NEL FUTURO DEL CAPITALISMO LA DEMOGRAFIA CONTINUA AD ESSERE UN POTERE STRAORDINARIO
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Inizia con questo articolo una serie di interventi sul tema popolazione e demografia

di Angelo Deiana, Presidente Confassociazioni

“Trovare il cammino attraverso il labirinto del proprio tempo, senza soccombergli ma anche senza saltarne fuori” Elias Canetti

Che il futuro del capitalismo sia nell’apprendimento è ormai un principio condiviso da tutti: il mondo ha virato chiaramente verso un’economia ed una società basata sulla conoscenza. E questo significa una cosa sola: volenti o nolenti, le persone dovranno imparare sempre di più nel corso della loro vita. 

Ma, al di là del paradigma “life long learning” di cui tutti parlano ma che nessuno pratica, per imparare di più possiamo fare solo una cosa. Cercare di allungare quanto più possibile i periodi in cui le persone apprendono strategicamente: l’infanzia e l’adolescenza.

Gli esseri umani hanno già un periodo di “immaturità protetta” molto più lungo rispetto a qualsiasi altra specie. Tale periodo si correla ad una strategia evolutiva che migliora i processi di flessibilità, intelligenza e apprendimento. Tutto questo si trasforma in quella capacità culturale che ci rende la specie dominante sul pianeta.

I nostri infanti, infatti, imparano liberamente dal loro ambiente senza dover pensare alla propria sopravvivenza, di cui si preoccupa chi si prende cura di loro. Gli adulti usano quello che hanno appreso da bambini per vivere, riprodursi e, più in generale, avere successo nel proprio ambiente.

Iniziamo come bambini brillanti e flessibili ma vulnerabili e dipendenti, bravissimi a imparare tutto ma pigrissimi nel fare qualsiasi cosa che non ci interessi sul momento. Cresciamo ed invecchiamo come adulti molto meno flessibili ma assolutamente più efficienti ed efficaci, abbastanza pigri nell’imparare ma perfetti nel progettare e (anche se non sempre) nell’agire.

In un’era in cui l’apprendimento di lungo periodo è tutto, come fare allora per rendere ancora più strategica questa situazione? Sul piano teorico, non dovrebbe essere difficile.

Da molto tempo ormai, abbiamo inventato la tecnologia più potente della Storia per lavorare sul nostro cervello: la scuola. La scolarizzazione, fino a poco tempo fa riservata in modo massivo soltanto ai Paesi più industrializzati, si sta diffondendo inesorabilmente in tutto il pianeta.

Riflettiamo su un dato: in Italia un secolo fa pochissimi andavano a scuola. Anche oggi, non sono molte le persone, a livello globale, scolarizzate dopo l’adolescenza.

Ma, in futuro, la maggior parte delle persone continuerà il percorso scolastico fino ad oltre i trent’anni. Impareremo non più solo le materie cosiddette verticali (matematica, letteratura, scienze, eccetera) ma anche quelle orizzontali, i cosiddetti “soft skills”: comunicazione, marketing, personal branding, public speaking, network intelligence, e così via.

D’altra parte, la scuola ha avuto un effetto rivoluzionario sull’apprendimento umano: il nostro quoziente di intelligenza è aumentato a una velocità importante in tutti i Paesi più scolarizzati anche grazie alla Rete.

Ma apprendimento e scolarizzazione, pur nella loro straordinaria importanza, sono interconnessi ad altri fattori di cui bisogna assolutamente tenere conto per l’impatto straordinario di lungo periodo che hanno.

Il primo, il più importante ma anche quello che molti trascurano, è la demografia.

La demografia è un vettore di trasformazioni sociali e politiche che vanno ben oltre la semplice riforma dei sistemi pensionistici o di welfare, ed investono problemi di crescita economica, l’equilibrio geostrategico delle masse, i sistemi politici e della rappresentanza democratica, gli stessi comportamenti sociali.

Il secondo fattore in ordine di importanza è la longevità: i nostri figli e nipoti dovranno imparare ad avere molte carriere e molte “vite” nell’arco della loro esistenza.

Il loro destino è infatti quello di vivere molto a lungo come conseguenza di una maggiore istruzione e di un più facile accesso alle cure mediche.

Ecco perché l’evidente incremento dell’aspettativa di vita rende necessario una riprogrammazione della nostra società. La longevità è un altro dei fenomeni più importanti della nostra era che comporta profondi cambiamenti dal punto di vista sociale, culturale e medico-scientifico.

Si trasformano i ruoli e i tempi di ogni età, con conseguenze demografiche, economiche e biologiche ancora da esplorare. Il problema è far sì che la crescita dell’età media complessiva non mini l’equilibrio del sistema di welfare e l’equità intergenerazionale.

E questo anche tenendo conto dei rischi implicati dal fatto che è politicamente molto più facile difendere i diritti delle generazioni viventi rispetto a quelli delle generazioni future le quali, non essendo ancora in vita (o essendo ancora molto piccole), non possono far sentire la loro voce con i sistemi elettivi. Ammesso che tali sistemi abbiano ancora un ruolo dissuasivo.

Insomma, la demografia (insieme alla longevità) è lo scenario di tutti gli scenari: sul piano economico, prima di tutto. Gran parte del sistema di welfare si regge su una distribuzione delle classi di età che premia la fase produttiva della vita e rende marginali le altre parti della curva, quella che riguarda i giovani non ancora entrati nel mondo del lavoro e gli anziani.

Oggi è proprio questo meccanismo di distribuzione naturale delle fasce di età che non regge più: il problema centrale è quello del “global aging”, dell’invecchiamento universale, che colpisce maggiormente tutto il mondo occidentale e, più in generale, quello a maggiore sviluppo economico.

Questo non vuol dire automaticamente sovrappolazione: i dati ci dicono che le persone, vivendo più a lungo ed avendo maggiore ricchezza, tendono a fare meno figli.

Potendo vivere qualche decennio in più, gli esseri umani riprogrammano le fasi della loro esistenza, mettendo al mondo meno figli e scaglionandoli nel tempo.

Il controllo delle nascite ha ormai attecchito nel mondo industrializzato e si sta aprendo un varco anche nei Paesi in via di sviluppo.

In Europa e in Giappone assistiamo a un’implosione, anziché a un’esplosione demografica. In alcune nazioni come l’Italia (ma non solo) l’indice di natalità è sceso a 1,32 figli per famiglia, ben al di sotto del livello di sostituzione che è pari a 2,1. Se la bomba della popolazione non è esplosa (come prefigurava Malthus) è perché tante persone in molti Paesi sono diventati più ricche.

Ecco la prima lezione strategica della demografia: la pianificazione della ricchezza è il più efficace contraccettivo al mondo. In passato i contadini, privi com’erano di piani pensionistici e previdenziali, cercavano di avere il maggior numero possibile di figli che, oltre a rappresentare forza lavoro, si sarebbero presi cura di loro durante la vecchiaia.

Era l’era della Welfare Family dove ogni nuovo figlio rappresentava due braccia in più nei campi, maggiori guadagni per la famiglia e ulteriore sostegno per i duri anni della vecchiaia. Ma quando, nei processi evolutivi del Welfare State, i contadini sono diventati ceto medio operaio e poi magari piccolo borghese, con uno stile di vita più agiato e una pensione (quasi) sicura, questa equazione si è rovesciata.

Ecco perché sul piano economico ci sono conseguenze di cui dobbiamo assolutamente tenere conto. In primis, quella della diminuzione del numero degli occupati per ogni soggetto che sta in pensione. Ne deriverebbe la necessità di aumentare progressivamente la fiscalità generale (le tasse) per sostenere l’esplosione dei pensionati e le ricadute inevitabili sul debito pubblico dei Paesi interessati.

Siamo in un vicolo cieco? In passato, è stata la scarsità di viveri a mantenere basso il numero degli esseri umani. A partire dalla fine del XVIII secolo, tuttavia, abbiamo assistito ad uno sviluppo incredibile della popolazione mondiale che ha coinciso con la diffusione della medicina moderna e della rivoluzione industriale, grazie a cui abbiamo potuto disporre di cibo e risorse quasi per tutti nei Paesi industrializzati.

Il tutto supportato dall’avvento delle vaccinazioni e della diffusione dell’acqua potabile (non solo per bere ma, soprattutto, per lavarsi le mani) e dalla conseguente diminuzione della mortalità infantile.

Adesso, però, la situazione è completamente diversa: solo pochi Paesi hanno ancora tassi di crescita della popolazione superiori al 2% annuo. La domanda è allora una sola: chi pagherà le pensioni e il servizio sanitario per gli anziani nei Paesi che invecchiano più velocemente? Per questo, anche nel capitalismo del futuro la demografia continuerà ad essere potere.

E l’Italia non potrà non tenerne conto.

Angelo DEIANA – Presidente di CONFASSOCIAZIONI, ANCP (Associazione Nazionale Consulenti Patrimoniali) e ANPIB (Associazione Nazionale Private & Investment Bankers) e, è considerato uno dei maggiori esperti di economia della conoscenza e dei servizi finanziari e professionali in Italia. Manager e board member di primari gruppi bancari nazionali e internazionali, è docente di Finanza Aziendale dell’Università Mercatorum, opinionista sui media televisivi e autore di numerose pubblicazioni in campo economico/finanziario. Attualmente è anche Vice Presidente di Auxilia Finance SpA.

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