Il lavoro nell’agricoltura è reso più difficile ai tempi del coronavirus, ma potrebbero esserci alcune soluzioni per semplificare la vita dei nostri imprenditori agricoli
di Donato Bonanni
Il lockdown delle attività produttive “non essenziali” decretato dal Governo ha provocato un calo impressionante non solo dal lato della domanda (perdita di ricchezza e di reddito da parte delle famiglie), ma, soprattutto, dal lato dell’offerta (il mondo della produzione).
Ma la grave emergenza sanitaria sta mettendo in serie difficoltà anche l’agricoltura quale settore indispensabile per il normale prosieguo della vita. In particolare, uno dei problemi da affrontare è la profonda incertezza sul numero di lavoratori agricoli che potranno effettivamente mettersi al lavoro per raccogliere nei campi gli ortaggi e la frutta. Molti operatori stagionali hanno fatto rientro nei loro Paesi d’origine (Romania, Polonia, Albania, Bulgaria, Marocco, Tunisia, Senegal, Pakistan e India) a causa del virus ed altri che sono disponibili a venire non riescono ad arrivare perché trovano difficoltà ad attraversare determinati Paesi. Insomma, il blocco delle frontiere ha fatto venir meno la presenza di molti di questi, dai quali di fatto dipende circa un quarto della produzione alimentare made in Italy.
Per evitare che gli scaffali dei supermercati si svuotino in questo periodo drammatico, il settore agricolo ha necessità (almeno) di 250.000persone destinate alla raccolta stagionale degli ortaggi e della frutta.
Agricoltura: soluzioni per la mancanza di manodopera
Le soluzioni al problema della mancanza di manodopera possono essere le seguenti: rendere maggiormente flessibili le varie tipologie contrattuali, rivisitare i voucher (che hanno avuto una storia travagliata in Italia), utilizzare in modo intelligente gli strumenti di sostegno al reddito e quelli di inclusione sociale e sperimentare piattaforme informatiche di intermediazione della manodopera.
È necessario introdurre una deroga “eccezionale” ai rapporti di lavoro a termine introducendo una causale legata all’emergenza o togliendo momentaneamente le causali. Ciò non significa flessibilizzare al massimo, ma introdurre un momento straordinario di adattabilità che accompagni la ripresa economica. L’attuale decreto “Dignità” è, invece, una zavorra per il mondo della produzione.
I voucher devono essere rivisti attraverso la semplificazione delle operazioni di assunzione per tutte quelle attività agricole che hanno un carattere prettamente stagionale e territoriale legato alla specificità del prodotto agro-alimentare e il recupero delle caratteristiche essenziali del lavoro accessorio disciplinato nell’impianto originario della riforma Biagi del 2003: uno strumento di contrasto al lavoro irregolare e di accesso al mercato del lavoro di categorie svantaggiate e di quelle a rischio di esclusione sociale per svolgere attività lavorative di natura meramente occasionale ed accessoria in determinati ambiti.
Con la grave crisi economica che si sta delineando, avremo un gran numero di lavoratori in cassa integrazione (anche in deroga) che rappresentano un potenziale bacino a cui il settore agricolo può attingere. È necessario, però, attivare un vero cambiamento culturale: il passaggio dalle politiche passive (assistenziali) a quelle attive attraverso la centralità del lavoro. Riattivare le persone anche perché prima o poi i soldi pubblici finiranno. E questo vale anche per i percettori del reddito di cittadinanza che dovrebbero accettare la prima proposta dei centri per l’impiego (quando funzionano) o perlomeno spulciare tra le piattaforme informatiche sperimentate da associazioni (come la Coldiretti) che facilitano l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro.
Ci sono tante aziende agricole in difficoltà che vogliono un aiuto per salvare i raccolti e garantire la fornitura di generi alimentari a tutto il Paese. Cosa aspettiamo?