La ricostruzione del sistema educativo per arginare le disuguaglianze della didattica create dall’emergenza
Di Gianpiero Ruggiero – Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR
Durante l’emergenza, sono venute alla luce e si sono accentuate le difficoltà nella vita quotidiana di alcune categorie di persone e per interi settori pubblici: famiglie con redditi bassi; persone anziane che hanno visto acutizzare il loro isolamento; studenti che, per mancanza di computer o di connessione a internet, non sono riusciti a seguire le lezioni online.
Senza sceglierlo, il settore della scuola italiana si è trovato a compiere un balzo indietro che ha fatto emergere una fragilità di sistema, portando a mettere a nudo molti suoi difetti.
La grave impreparazione della scuola rispetto alla didattica online, l’assenza di accesso non solo alla banda larga, ma allo stesso internet in molte zone del Paese, combinate con una storica incapacità di contrastare le disuguaglianze nell’istruzione e la povertà educativa, non sono state la conseguenza di una crisi sanitaria senza precedenti.
Sono caratteristiche strutturali del contesto in cui la crisi del sistema educativo è precipitata, acuita in misura maggiore dalla crisi sanitaria. Nell’approntare le misure di ricostruzione, oltre quelle per tamponare l’immediato, occorrerà perciò mettere le basi perché quelle caratteristiche non si cristallizzino ulteriormente e invece si evolva verso una loro radicale riduzione.
È a questo livello che si colloca la sfida più difficile per la tenuta democratica. Più che nella temporanea parziale sospensione delle normali procedure democratiche, infatti, il pericolo più grave sarebbe quello legato al cristallizzarsi e ampliarsi delle disuguaglianze a fronte di prospettive incerte e difficili nel medio periodo.
È quello che Manuel Castel chiama il rischio di disaffiliation, la perdita del sentimento di appartenenza, che può anche nascondersi sotto forme di nazionalismo esasperato, nella ricerca ossessiva di un nemico, proprio perché non si trovano ragioni positive per appartenere.
In questo senso la scuola e la formazione in generale devono essere prioritari nel piano di ricostruzione perché rappresentano capitale sociale da sedimentare. Non c’è futuro in Italia senza un investimento massiccio sulla scuola e sulla formazione. Purtroppo, guardando alla poca attenzione che la riapertura delle scuole sta avendo nel post-emergenza, risulta chiaro che questa non è considerata ancora una priorità.
Il contrasto alle disuguaglianze educative (con un occhio al BES)
Prima della crisi i dati sui risultati scolastici avevano rivelato una situazione drammatica e un ritorno di analfabetismo oltre a disparità regionali, disparità tra zone urbane e tra classi di reddito.
Dall’analisi condotta dall’Istat nel Rapporto BES[1] 2019 https://www.istat.it/it/archivio/236714 emergono alcuni dati su cui riflettere: il numero di bambini che frequentano i servizi dell’infanzia è ancora troppo basso; l’indicatore che quantifica l’abbandono precoce del percorso di istruzione e formazione mostra un peggioramento; si registrano piccoli miglioramenti delle competenze in Matematica e Italiano degli studenti, ma con forti differenze tra Regioni; aumentano le persone con diploma o laurea, ma si ampliano i divari territoriali soprattutto tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno.
Anche nel confronto internazionale la situazione si presenta critica. Particolarmente preoccupante il confronto internazionale per l’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione dei giovani di 18-24 anni: l’Italia è al quartultimo posto (14,5%), decisamente distante dal valore medio europeo (10,6%). Si sono registrati valori più elevati solo in Spagna (17,7%), a Malta (17,4%) e in Romania (16,4%). Nella media dei paesi dell’UE, le persone di 30-34 anni che hanno completato un’istruzione terziaria (università e altri percorsi equivalenti) sono state il 40,7%.
L’Italia occupa il penultimo posto, con il 27,8%. La segue solo la Romania, il cui valore è di poco inferiore (24,6%). Anche la percentuale di persone di 25-64 anni che hanno conseguito almeno il diploma è significativamente più bassa di quella media europea (-16,4 punti rispetto al 78,1% dei Paesi dell’Ue28 presi nel loro insieme).
Lo svantaggio dell’Italia rispetto alla media dell’Unione Europea per la formazione continua è invece meno accentuato: il nostro Paese occupa il 18° posto, con l’8,1% di individui che partecipano a programmi di formazione continua, contro l’11,1% della media europea.
Anche l’OCSE, attraverso specifici indicatori, ha dato uno sguardo al sistema scuola dell’Italia, restituendo un report https://www.oecd.org/education/education-at-a-glance/EAG2019_CN_ITA_Italian.pdf sulla struttura, sul finanziamento e sulle prestazioni del nostro sistema d’istruzione, messo a confronto con quello dei Paesi partner dell’Organizzazione.
Anche in questo caso, emergono luci e ombre. Un dato sembra inequivocabile: con la chiusura delle scuole e di tutti i servizi nidi, scuole dell’infanzia, doposcuola, laboratori, palestre, le disuguaglianze sono emerse ancora con più violenza.
Fonti UNESCO https://en.unesco.org/covid19/educationresponse parlano di 153 Paesi con scuole chiuse, con 1,2 miliardi di studenti (il 68,5% del totale degli studenti iscritti da primaria a superiori) che si trovano a casa.
In Italia 1,6 milioni di studenti (un ragazzo su cinque) non sono raggiunti dalla didattica a distanza.
Tutto questo genera effetti negativi, in termini di apprendimento interrotto; di nutrizione, con la privazione dell’accesso a un’alimentazione sana e gratuita; di aumento del tasso di abbandono (nelle chiusure protratte le ragazze hanno 2,5 volte più probabilità di abbandonare la scuola). Uno spaccato della scuola a poche luci e tante ombre.
Una scuola italiana già poco attrezzata (al di là di esempi al contrario) a rispondervi in tempi normali, lo si è rivelata ancora più nella nuova situazione, anzi, proprio con l’esigenza di didattica online, le ha aggravate, non in termini di prestazioni, ma in termini di risorse per accedere a una didattica che affannosamente, e con molte differenze tra scuola e scuola, classe e classe, insegnante e insegnante, doveva di colpo essere offerta online.
Non si tratta solo di disuguaglianze materiali, nella disponibilità della tecnologia adatta in misura sufficiente per tutti coloro che in famiglia devono fruirne, ma anche di competenze proprie e dei familiari per utilizzarle, di spazi di studio, nel caso dei più piccoli anche di competenze dei genitori per fare fronte alla nuova funzione di “docente aggiunto”, quando non prioritario, in quello che è diventato un vero e proprio home schooling.
Per contrastare questo esito, non basterà solo distribuire subito il maggior numero di computer, tablet e relativa dotazione di giga, oltre che investire nella banda larga e portarla là dove ancora non è presente.
Nell’immediato, ma soprattutto a regime, occorrerà ripensare al sistema educativo, fin dai primi anni di vita, e scolastico per metterlo in grado di contrastare le disuguaglianze e la povertà educativa – testimoniate anche dai dati Invalsi e PISA – molto più efficacemente di quanto non abbia fatto finora, uscendo dalla frammentazione e dallo sperimentalismo che sembra la dannazione della scuola.
Di buone pratiche ce ne sono. Si pensi all’approccio educativo in età prescolare, promosso dalla Fondazione Meleguzzi, messo in atto dal Comune di Reggio Emilia. Il “Reggio Emilia Approach” https://www.reggiochildren.it/reggio-emilia-approach/ , una filosofia educativa vincente, è diventato un caso di studio che ha suscitato l’interesse della comunità internazionale.
Infatti, il gruppo di ricerca di Howard Gardner, dell’Univeristà di Harvard, sta studiando il caso di Reggio Emilia ed è alle prese con studi sugli effetti economici di lungo periodo che investimenti sui sistemi educativi per l’infanzia hanno sul futuro economico e sociale degli individui e dei territori. Secondo questi studi esiste una correlazione diretta e positiva tra sistema educativi e benessere individuale, sociale ed economico.
È da queste esperienze che trova riscontro la lettura dei sistemi educativi in chiave di benessere equo e sostenibile, che riguarda la sfida della valutazione della complessità, cioè di un pensiero ecosistemico, che superi un’idea mono settoriale di investimento, fatto in un orizzonte di breve periodo.
Con questa prospettiva, occorre saper spaziare dal breve al lungo periodo, guardando alla gittata delle traiettorie, sapendo guardare alle interconnessioni ecosistemiche[2], ovvero quello che avviene in un comparto e che tipo di influenze questo ha negli altri comparti, secondo un principio di dinamicità dei sistemi.
Al Ministero dell’Istruzione servirebbe una nuova bussola
A leggere l’atto di indirizzo politico-istituzione emanato dal Ministro dell’Istruzione per il 2020 https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/Atto+di+indirizzo+2020.pdf/8ef7d1c1-c7fc-75e4-80bb-b8654ba6e98a?version=1.0&t=1581596555210 , ci si può rendere conto di quanto siano valide alcune delle 13 politiche prioritarie in esso contenute.
È un documento importante, che si collega al ciclo della performance del Ministero, quindi, entrerà nelle valutazioni individuali dei dirigenti apicali. Come tutti i documenti programmatici, il suo valore si concretizzerà nel momento della sua pratica attuazione.
Quella sapiente tela di atti amministrativi che consente di scaricare a terra tutti i benefici, ma che resta la parte più difficile. Una di queste priorità è definita “innovazione digitale per la didattica, la semplificazione amministrativa e l’abbattimento della burocrazia per le scuole”, ma è singolare, a tal proposito, che nell’intero documento non ci sia alcun riferimento al Piano Nazionale della Scuola Digitale (Legge n. 107/2015).
Questa assenza colpisce parecchio. D’altronde la fotografia dello stato della scuola digitale in Italia è purtroppo finora la foto di una serie di promesse non mantenute.
Dove sono finite le 60 ore di coding promesse dall’ex Ministro Stefania Giannini in tutte le scuole primarie? La connessione in fibra ottica in tutte le scuole entro il 2018, promessa e oggi rinviata al 2021, è ferma a poco più di una scuola su dieci.
È stato mantenuto l’impegno di dotare ogni scuola di un animatore digitale, ma sfido qualunque genitore a dire se conosce il nome dell’animatore digitale della scuola del proprio figlio.
A oggi, al di là delle nomine ufficiali, non ci sono dati su quale sia stato il reale impegno di questi animatori, cioè cosa facciano e come agiscano per aumentare il livello di digitalizzazione nelle scuole. Peraltro, con il piccolo fondo spese da mille euro l’anno, che non sempre arriva con puntualità nelle casse scolastiche, chiunque avrebbe difficoltà di organizzazione e d’azione.
Un’altra cosa che colpisce, è la totale mancanza di dati pubblici sullo stato di attuazione del Piano Nazionale Scuola Digitale. Sul sito del Ministero non ci sono dati, segno di una roadmap non sufficientemente monitorata e rendicontata pubblicamente.
Gli unici dati disponibili risalgono al 2017, elaborati e pubblicati da Riccardo Luna https://www.agi.it/blog-italia/riccardo-luna/piano_scuola_digitale-2314157/post/2017-11-02/ che è riuscito ad attenerli dal Ministero grazie a una richiesta di accesso civico. Questo dimostra che, nonostante gli sforzi messi in campo negli ultimi due anni, lo stato della digitalizzazione della scuola italiana è purtroppo l’immagine della lentezza con cui si è investito in innovazione e futuro del Paese.
Una situazione che con il passar del tempo non sembra migliorare. Il Protocollo sull’innovazione https://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/Protocollo-intesa-domanda-pa-innovazione-2020.pdf , firmato di recente dal MiSE, dal MID e dal MUR, sembra tenere fuori proprio un settore cruciale come la scuola.
Uno sforzo in più, a mio parere, andava fatto dal Governo sul fronte della scuola digitale e della didattica online. Se la Ministra Azzolina ha dichiarato che 1,6 milioni di studenti non sono connessi, vuol dire che la didattica a distanza non sta garantendo il diritto all’istruzione.
Quello stesso diritto che Stefano Rodotà[3] avrebbe voluto costituzionalmente garantito a tutti. Ma forse c’è ancora tempo per rimediare.
Con delle opportune verifiche ministeriali, si dovrebbe riuscirebbe a scoprire se il PON Scuola conservi ancora delle disponibilità finanziare, magari proprio da destinare agli appalti innovativi sulla didattica, che potrebbero tornare utili ed essere messe sul piatto.
Anche perché l’articolo 5 del Protocollo recita che “le Parti concordano che il presente Protocollo d’intesa è aperto all’adesione di ulteriori Istituzioni”. Staremo a vedere se il Governo riuscirà ad allargare le maglie di questa intesa.
Non resta che augurarsi per il futuro che il Ministero dell’Istruzione si doti di una sua metodologia di analisi e rendicontazione sull’attuazione del Piano Nazionale Scuola Digitale e che inizi a rendere pubblici e trasparenti tali dati.
Anche per dare l’esempio e sconfiggere quel senso di “terrore del digitale” che sembra aleggiare in molte scuole, dove l’innovazione viene osteggiata da dirigenti e insegnanti che temono che l’aumento del digitale nelle scuole metta in discussione i presupposti, la cultura e i fondamenti metodologici del passato, oltre che strumenti di lavoro obsoleti.
Qualità del sistema scolastico: un “capitale sociale” da sedimentare che crea valore pubblico
Nelle prime settimane della crisi, nessuno parlava di scuole e di futuro dei bambini. Poi, in parte, mano mano che il tempo degli esami si avvicinava si è rimediato.
Tornare perciò alla normalità di prima non è così auspicabile, occorrono politiche nuove e orientate al lungo termine. Nella ripresa va sancito in maniera netta che lo sviluppo si fa con il capitale sociale. Abbiamo appreso che la crescita economica costante e inarrestabile crea delle disuguaglianze; poi arriva lo Stato e con il welfare cerca di rimediare.
Attraverso il ruolo delle comunità locali, delle famiglie e del terzo settore, si dovrà costruire un nuovo modello di sistema educativo. Non basta dire che la scuola di ogni ordine e grado, inclusi i nidi e le scuole dell’infanzia, deve essere uno dei principali ambiti di investimento e attenzione nella ripresa.
Occorre anche che al centro di questo investimento vi siano le pari opportunità attivamente sostenute nell’apprendimento e nello sviluppo delle competenze.
A tal fine, molto preziosa è l’iniziativa “Officina 2020: Educazione e Futuri” https://www.irpps.cnr.it/eventi/officina-2020-educazione-e-futuri/ , messa in campo dall’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del Consiglio Nazionale delle Ricerche, insieme al Ministero dell’Istruzione, in collaborazione con l’iniziativa Futures of Education dell’UNESCO.
Bisognerebbe trarne il massimo vantaggio da iniziative come queste. È un tema etico, ma anche una questione di competitività del Paese. È necessario mettere sul piatto non solo finanziamenti[4] ma anche idee.
La qualità dell’istruzione e del sistema educativo non viene misurata dal Pil, ma senza quella qualità, oggi e domani, non avremmo più un Pil. Iniziare a considerare il capitale sociale come una ricchezza, alla pari della ricchezza economico-finanziaria misurata attraverso il Pil, sarebbe un passo evolutivo gigantesco da un punto di vista culturale.
Da queste esperienze è emerso chiaro che, non solo nel fronteggiamento dell’emergenza, ma nella quotidianità, il sistema di welfare locale deve ripensarsi lungo due direzioni, quella della interazione tra diversi ambiti (sanità, scuola, politiche della casa, del sostegno economico) e tra soggetti pubblici e di società civile, coinvolgendo anche, all’occasione, lo stesso settore privato in senso stretto, e quella della cooperazione sistemica.
Investire nella scuola, nella sanità, nell’ambiente, nelle infrastrutture tangibili e intangibili non è un costo, ma il modo per rendere stabili nel tempo i risultati raggiunti.
E poiché siamo strutturalmente esposti a una pluralità di rischi, solo la qualità integrale della nostra società può metterci nelle condizioni per poter far fronte in maniera efficace agli shock che possono colpirci (e che certamente ci colpiranno).
La resilienza dipende dalla qualità di ogni singola componente (individui, organizzazioni, istituzioni) oltre che dei legami e delle relazioni tra di esse. In Italia, il mondo della scuola o di chi crede che l’accesso ad una buona formazione sia la condizione per una società più uguale non ha voce.
Per dargli voce c’è bisogno di una grande progettazione e mobilitazione nazionale.
Gli auspici per la scuola del futuro
All’interno di questa progettualità devono trovare posto alcune cose da fare. A partire dalle priorità da connettere con le azioni presenti nel Piano Nazionale Scuola Digitale e nell’atto di indirizzo politico-istituzionale del Ministro dell’Istruzione:
- connettere a banda larga o ultralarga tutte le scuole e plessi scolastici: un obiettivo di base che, tuttavia, come ha dimostrato lo studio condotta da Riccardo Luna nel 2017, è ancora tutto da realizzare;
- dotare tutte le scuole, comprese le scuole dell’infanzia, di ambienti fisici e strumenti per l’apprendimento che permettano di sviluppare una didattica aumentata digitalmente;
- dotare tutte le scuole di ambienti digitali per l’apprendimento e promuovere la creazione di contenuti digitali di qualità;
- allineare gli assi culturali[5] previsti dal sistema italiano (che comprendono le competenze di base e le competenze chiave per la cittadinanza), alle competenze digitali di cittadinanza e apprendimento permanente che sono contenute nei documenti dell’Unione Europea sulle competenze digitali DigiComp 2.0 e DigiComp.Edu;
- dare piena attuazione alla formazione degli insegnanti sulla didattica innovativa e cooperativa abilitata dalle tecnologie e dal Piano per la formazione in servizio dei docenti;
- costruire metriche di misurazione e KPI per l’attuazione del Piano delle Performance del Ministero[6] nonché strumenti di monitoraggio dell’attuazione dell’innovazione digitale e di valutazione della qualità della formazione “aumentata digitalmente” effettivamente erogata;
- rendere disponibili le basi dati di cui il Ministero è in possesso e pubblicare in tempi utili dossier relativi ai dai di più immediato interesse.
[1] Il Rapporto BES che l’ISTAT pubblica ogni anno offre un quadro integrato dei principali fenomeni economici, sociali e ambientali che caratterizzano il nostro Paese, attraverso l’analisi di un ampio set di indicatori suddivisi in 12 domini. Il Rapporto è disponibile sul sito dell’Istituto.
[2] È provato, ad esempio, che una buona educazione riduce la richiesta di servizi sanitari. Si pensi al dramma dell’obesità che colpisce maggiormente gli adolescenti di famiglie meno istruite.
[3] La modifica costituzionale proposta da Stefano Rodotà consisteva nell’inserimento in Costituzione di un art. 21-bis il quale recita: «Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire le violazioni dei diritti di cui al Titolo I della parte I».
[4] Il decreto Rilancio (Decreto-Legge 19 maggio 2020, n. 34) ha stanziato quasi 1,5 miliardi per far ripartire la scuola e per la stabilizzazione dei precari con la creazione di 16 mila posti in più per il ruolo di docente a settembre, per un totale di 32 mila posti aggiuntivi all’avvio del nuovo anno scolastico. Per assicurare la ripresa dell’attività in condizioni di sicurezza aumenta di 331 milioni il fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche.
[5] In Italia il sistema educativo è caratterizzato da rigide suddivisioni fra le diverse discipline: una gabbia nella quale è difficile dare spazio alle competenze chiave per l’apprendimento permanente di stampo europeo, giacché queste ultime sono in buona misura interdisciplinari. Il Ministero, puntando sugli assi culturali, ha tentato di conciliare l’approccio disciplinare con le competenze europee, forzando queste ultime a entrare nella gabbia. L’idea degli assi culturali non è stata felicissima, perché mentre uno dei messaggi chiave dell’approccio europeo è che le competenze sono trasversali, la scelta degli assi ha suggerito un’idea che vi siano contenitori macro disciplinari. Ciò ha alimentato l’idea che il docente di scienze non abbia nulla a che spartire con la padronanza della lingua italiana, e che insegnare italiano non sia possibile affrontando problemi ed elaborando strategie per risolverli.
[6] La misurazione dei processi amministrativi e l’efficacia dei pagamenti (quali riduzione del numero di giorni dei ritardi nei pagamenti, tempi di emissione di una fattura, etc.) potrebbero rappresentare un esempio concreto, attraverso la revisione di procedure più semplici e rapidi, in quanto la gravosità delle procedure di competenza dell’amministrazione centrale ministeriale genera disagio e hanno un impatto diretto sulla scarsa funzionalità delle istituzioni scolastiche, generando allarme nell’utenza e del personale scolastico che si trova a subirne le conseguenze, anche di natura economica.