Sostenibilità è la parola chiave nella Società dei nostri giorni, la cifra identificativa per definire quello che sarà il nostro Domani.
Di Alberto Improda
Si discute di Sostenibilità nelle sale dei Convegni, negli uffici delle Aziende, nelle aule delle Università, nei laboratori della Scienza, nelle stanze della Politica.
Eppure c’è un aspetto della Sostenibilità che resta sempre piuttosto nell’ombra, che viene usualmente trattato abbastanza di sfuggita, che solitamente risulta esente da autentici approfondimenti.
Il tema della Sostenibilità, come noto, si declina lungo tre diversi versanti: quello Ambientale, quello Economico, quello Sociale.
Ecco, il terzo profilo – quello Sociale – nella maggior parte dei casi viene esaminato in modo decisamente superficiale ed evasivo, quasi limitandocisi ad una sorta di menzione protocollare.
Mentre i primi due pilastri della Sostenibilità, quello Ambientale e quello Economico, nel corso degli anni sono stati ampiamente studiati ed elaborati, quello Sociale solo di recente è stato preso in più attenta considerazione.
L’Agenda 2030, come noto, ha definito degli “obiettivi universali, ambiziosi, globali, indivisibili e interconnessi, mirati a sradicare la povertà, combattere le disuguaglianze e le discriminazioni crescenti, promuovere la prosperità, sostenibilità, responsabilità ambientale, inclusione sociale, uguaglianza di genere e rispetto per i diritti umani, garantendo la coesione economica, sociale e territoriale e rafforzando la pace e la sicurezza”.
E’ chiaro che senza una effettiva coesione sociale sarà difficile conseguire gli obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, con particolare riferimento a quelli – fondamentali – di non lasciare indietro nessuno e di garantire un maggiore benessere per tutti.
La difficoltà, nell’affrontare funditus questo lato della Sostenibilità, sta probabilmente nel fatto che l’oggetto della discussione – la Società del Futuro – è estremamente difficile da mettere a fuoco e gli strumenti per maneggiarlo palesemente inadeguati, se non addirittura inesistenti.
Quando si discute dell’avvenire dell’Ambiente, infatti, ci troviamo dinanzi una situazione certamente difficile e gravemente compromessa, ma per affrontare la quale abbiamo a disposizione una grande quantità di dati ed un ampio novero di conoscenze.
Se ci occupiamo dell’Economia del domani, parimenti, possiamo contare su una larga serie di esperienze e su processi consolidati, che costituiscono una affidabile e condivisa base di partenza per qualsiasi ragionamento.
Ma nel momento in cui affrontiamo il tema della Società del futuro, improvvisamente il nostro sguardo si fa incerto, entriamo in un territorio sconosciuto, in un pianeta nuovo e buio, per orientarci nel quale non abbiamo punti di riferimento.
La realtà contemporanea sta attraversando un momento di forte e veloce di cambiamento, sotto la progressiva ed irresistibile spinta di fenomeni come la Digitalizzazione, l’Automatizzazione, la Robotizzazione, l’Informatizzazione.
Realtà quali l’Intelligenza Artificiale, l’Internet of Things, la Blockchain hanno innescato nella società e nell’economia dei processi evolutivi di grande portata e profondità; e già all’orizzonte si profila l’avvento dell’era della Computazione Quantistica, con gli ulteriori e ancor più radicali stravolgimenti che ne conseguiranno.
Rivolgere lo sguardo verso la Società del Domani è nell’attuale frangente davvero un esercizio complicato, quasi disperato, ad alto rischio, di grande pericolosità: un salto nel vuoto, al buio e senza rete di sicurezza.
Prendiamo in considerazione, davvero in estrema sintesi e solo a titolo di esempio, il tema dell’Occupazione.
Gli studiosi più ottimisti hanno il loro bel ripetere che: “ebbene sì, è vero, scompariranno intere categorie di posti di lavoro, ma è anche vero che nasceranno nuove professioni, così innovative che oggi non le possiamo neanche immaginare”.
Allo stato, purtroppo, ben più solidi e convincenti appaiono i ragionamenti di coloro secondo i quali: “d’accordo, in futuro nasceranno nuove professioni, ma il saldo tra l’occupazione creata da queste e i posti di lavoro che andranno persi sarà drammaticamente negativo”.
Diamo credito a questa seconda tesi, in realtà – almeno al momento – molto più persuasiva dell’altra, ed immaginiamo di andare incontro ad una Società nella quale la popolazione occupata sia pari soltanto ad una quota minoritaria del totale.
E’ chiaro che una realtà di questo genere implica modelli economici e sociali largamente inediti, certamente molto diversi da quello attuale e da tutti quelli che abbiamo conosciuto fino ad ora.
L’intero armamentario intellettuale del Novecento, l’unico del quale siamo oggi muniti, dal Liberismo al Comunismo, dal Socialismo al Fascismo, in un contesto come quello prefigurato sarà autentica preistoria, un mero bagaglio nozionistico, privo di qualsiasi utilità per affrontare i nuovi tempi.
Ecco dunque che, quando si parla di Sostenibilità Sociale, con la necessità di proiettare la sguardo sulla Società del Futuro, improvvisamente si diventa evasivi, si glissa più o meno elegantemente, ci si limita a visioni di piccolo cabotaggio.
Il compito delle generazioni attuali, a me sembra, è quello di avviare una transizione verso il Domani utilizzando al meglio e in modo pragmatico gli strumenti che abbiamo a disposizione, con l’auspicio di accompagnare il cambiamento in maniera intelligente e di rendere più agevole il compito di coloro che ci succederanno.
Per riuscire in questo intento occorre innanzitutto mettere a fuoco il concetto di Sostenibilità Sociale.
Possiamo dire che, in linea di massima, perseguire una situazione di Sostenibilità Sociale significa tendere a condizioni di equità, eliminare le povertà, combattere le sperequazioni, rendere effettivo il diritto di ognuno ad esprimere in pieno le proprie potenzialità e a partecipare in modo effettivo ai processi decisionali.
Le sfide per realizzare la Sostenibilità Sociale, insomma, riguardano la soddisfazione delle necessità dell’individuo, stabilite nei principi generali dei trattati internazionali sui diritti umani.
In particolare, perseguire la Sostenibilità Sociale significa intraprendere azioni utili per affermare i diritti economici, sociali, politici, culturali, equità di genere e di razze tra le persone.
Questo significa, in Italia e in Europa, affrontare dei problemi davvero di portata epocale:
– le disuguaglianza tra le generazioni, con i giovani che hanno davanti un contesto di risorse sociali, sanitarie, economiche e ambientali in diminuzione;
– i flussi migratori, inarrestabilmente determinati da cambiamenti climatici, diminuzione delle risorse, carenze alimentari, crisi sanitarie e mancanza di sicurezza;
– lo squilibrio demografico e la scarsità di manodopera e professionalità, anche e soprattutto nel settore della cura e dei servizi alla persona;
– le disparità territoriali, tra le regioni e le aree di ogni Paese, tra i diversi Paesi europei, tra i Paesi europei e il resto del mondo;
– le sperequazioni economiche e sociali, che invece di assottigliarsi, mostrano un preoccupante trend in aumento, in coincidenza con la progressiva polarizzazione della società.
Gli ostacoli che abbiamo dinanzi ai nostri occhi sono davvero impressionanti ed è comprensibile il senso di smarrimento che sotto molti aspetti si avverte nella società dei nostri giorni.
Tuttavia le sfide che ci attendono presentano anche uno stimolante rovescio della medaglia: il nostro Paese, per una complessa serie di motivi, presenta caratteristiche tali da poter ambire a guidare questa stagione di cambiamenti, diventando un punto di riferimento ed assumendo una posizione di leadership a livello internazionale.
E’ ovvio, dato il modello politico e sociale che contraddistingue la nostra società, che un adeguato funzionamento dell’Economia sarà un elemento decisivo per superare gli ostacoli dei quali dicevamo.
Appare chiaro che, se per tendere alla Sostenibilità Sociale un ruolo determinante spetta all’Economia, allora inevitabilmente l’Impresa risulta un soggetto protagonista di questi processi evolutivi.
E siamo al punto: in Italia esistono certamente le competenze, la cultura e le conoscenze per dare forma, prima e meglio che altrove, ad un modello di Impresa innovativa ed al passo con i tempi.
Innanzitutto, aspetto assolutamente da non sottovalutare, possiamo contare sulla forza propulsiva e sulla costante modernità della nostra Costituzione, che rappresenta il DNA del Paese e ne incanala le energie.
Punto di riferimento imprescindibile è l’Articolo 41 della Carta Costituzionale:
“L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
La norma delinea un modello di economia mista, in cui l’iniziativa privata convive con quella pubblica: lo Stato, cioè, non si limita a individuare i limiti entro i quali può muoversi l’iniziativa privata, ma può anche operare come proprietario o gestore di aziende.
La disposizione ha già dato prova di estrema duttilità, trovando con successo applicazione in frangenti storici profondamente diversi, come l’interventismo economico degli Anni Sessanta e Settanta e le privatizzazioni degli Anni Novanta del secolo scorso.
La nostra Costituzione, nata dalla contaminazione – a volte non semplice – tra culture profondamente diverse, si caratterizza da sempre per l’elevatezza dei principi che ne sono alle fondamenta e per la capacità di fornire risposte adeguate ai tempi.
Oggi ci fornisce uno strumento di imprescindibile importanza per affrontare le difficoltà dei nostri tempi e per andare alla ricerca di soluzioni tali da conciliare economia di mercato e utilità sociale, attività d’impresa e diritti delle persone.
Sul tema dell’Impresa come strumento di evoluzione sociale, poi, il nostro Paese può vantare storie ed esperienze risalenti nel tempo, mentre spesso altrove su questi temi si comincia a ragionare giusto adesso.
Una data storica, riguardo alla funzione e alla valenza sociale dell’Impresa, viene a livello internazionale considerato il 19 agosto 2019.
Quel giorno, infatti, la Business Roundtable, un autorevole think tank di circa duecento CEO di aziende del Nord America, presieduto da Jamie Dimon, numero uno di JP Morgan Chase, ha pubblicato una innovativa ed eclatante dichiarazione programmatica.
Se nel 1997 la Business Roundtable aveva pienamente aderito alla linea della Scuola di Chicago, in base alla quale il fine unico dell’azienda consiste nel creare profitto per gli azionisti, il 19 agosto 2019 si determinava un radicale cambiamento di rotta.
Nella nuova dichiarazione programmatica del think tank viene esplicitato che il purpose dell’Impresa non deve essere solo la produzione di utili per gli shareholder, ma anche e soprattutto quello di servire tutti gli stakeholder, vale a dire i clienti, i lavoratori, i fornitori, le comunità.
Orbene, questo cambiamento di posizione così eclatante, secondo alcuni quasi rivoluzionario, in effetti non ha fatto altro che portare la comunità internazionale su un percorso lungo il quale l’Italia si era avviata già da tempo.
La nostra scuola di economia aziendale, in particolare con Gino Zappa e Carlo Masini, già nei primi decenni del Novecento aveva approfondito i rapporti tra Impresa e stakeholder, mettendovi innovativamente al centro i concetti di solidarietà, altruismo e responsabilità.
Poi è arrivata la grande ed emblematica figura di Adriano Olivetti, il quale intravvide con largo anticipo la crisi di un determinato modello di società.
L’Ingegnere di Ivrea, con il suo stile ispirato e visionario, ebbe a scrivere che “la società individualista, egoista, che riteneva che il progresso economico e sociale fosse l’esclusiva conseguenza di spaventosi conflitti di interessi e di una continua sopraffazione dei forti sui deboli, la società polverizzata in atomi elementari o spietatamente accentrata nello Stato totalitario, è distrutta”.
Adriano Olivetti con una stupefacente lucidità e una incredibile lungimiranza, immaginò – per il “mondo che nasce” – un ruolo inedito per l’Impresa: “la fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia”.
Oggi il suo insegnamento è diventato un patrimonio comune, nessuno dubita più che l’Impresa sia chiamata a compiti vasti nell’ambito della Società, all’insegna della Sostenibilità e della Circolarità, della Bellezza e della Cultura.
Eppure il pensiero e l’opera dell’Ingegnere di Ivrea mantengono ancora immutati tutto il proprio fascino e la propria forza.
A me sembra che oggi l’eredità più preziosa di Adriano Olivetti stia nel suo Sguardo, uno sguardo aperto e coraggioso, pieno di Fiducia nell’Uomo e nel suo Futuro.
Giancarlo Lunati, in un bel contributo nel libro di Giorgio Soavi su Adriano Olivetti, enfatizza come la Fiducia fosse un elemento portante nell’operato dell’Ingegnere: “La fiducia permette di credere nella realizzabilità dei progetti. Anch’essa può essere razionalisticamente scandalosa perché induce a credere in quel che non c’è, ma che si spera possa esserci. Un progetto razionale, pur mosso da volontà determinata, incontrerebbe ostacoli e difficoltà se non comprendesse in sé l’elemento della fiducia. La progettualità che esprimono tutti gli imprenditori nel voler far crescere le proprie aziende è fondata sulla fiducia. Lo stesso vale per i singoli e per i responsabili dei governi. Senza la fiducia, elemento spesso impalpabile, crollano gli affari ed entrano in crisi le pubbliche amministrazioni”.
Milton Glaser, nel medesimo testo, scrive della Olivetti che “l’azienda era pervasa da un senso di ottimismo e di orgoglio che riusciva a tirare fuori il meglio di ciascuno”.
La Fiducia verso un Futuro migliore traspare già dal numero inaugurale della rivista “Comunità”, uscito nel 1946, vale a dire in un momento storico che concedeva davvero poco spazio alla Speranza.
Si legge nel fondo redazionale, di chiara impronta olivettiana: “veder nuovo significa vedere un mondo umano, un mondo fondato su leggi naturali, su leggi che siano eterne e siccome eterne diano vita a una società ove alberghi la quiete e risplenda la bellezza”.
Oggi abbiamo davanti agli occhi sfide epocali, siamo chiamati ad affrontare problemi tali da far tremare le vene ai polsi, affrontando ostacoli inediti con strumenti largamente inadeguati.
Lo facciamo però da una posizione privilegiata, cittadini di un Paese dalle potenzialità straordinarie ed eredi di storie di eccezionale potenza.
Cerchiamo di recuperare e conservare lo Sguardo di Olivetti.
Uno sguardo pieno di Fiducia: Fiducia nell’Italia, Fiducia nel Futuro, Fiducia soprattutto – per usare le parole di Adriano – nell’Uomo, “nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto”.