La proposta di Recovery Plan della Commissione UE: uno strumento di policy per il completamento della integrazione economica europea?

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L’ambizioso Recovery Plan: una responsabilità ed un’opportunità per l’Italia per porre in essere misure strutturali e completare l’integrazione economica europea

Di Renato Loiero

Il presidente della Commissione europea ha presentato al Parlamento europeo il piano finanziario degli strumenti di sostegno volti a favorire la ripresa economica dei paesi UE travolti dalla pandemia COVID-19.

All’Italia, secondo la proposta, verrebbe riconosciuta la cifra più elevata, venendo ad essa destinati ben 81 miliardi di aiuti e 90,9 di prestiti.  

Nel complesso, dal punto di vista finanziario, la proposta della Commissione europea è infatti quella di raccogliere direttamente sui mercati i 750 miliardi di euro tramite sue emissioni debitorie – attraverso cui finanziare il nuovo Recovery fund di rilancio post crisi pandemica da Covid-19 – che verrà posta al centro del prossimo Consiglio europeo del 17 e 18 giugno.

 Nel metodo, se l’iniziativa rappresenta senz’altro un significativo segnale da parte della Ue, trattandosi di cifra complessivamente adeguata alla crisi in atto, non può tacersi che la sua approvazione risulterà però perfezionata solo all’esito di lunghi negoziati, dovendo raccogliere l’unanimità dei consensi dei paesi dell’euro area.

La stessa Cancelliera Angela Merkel ha opportunamente previsto che la difficoltà delle trattative lascia prevedere che il piano potrà entrare in vigore non prima del primo gennaio 2021.

         Con suggestivo neologismo, il piano è stato battezzato anche programma Next Generation dalla presidenza della Commissione ed è senz’altro una proposta estremamente ambiziosa, sia nella dimensione finanziaria complessiva che per le modalità attraverso cui gli strumenti di sostegno troveranno attuazione.

Nel complesso, trattasi infatti di 750 miliardi di euro, di cui 500 miliardi in sussidi e 250 in prestiti, per un ammontare complessivo che si approssima a circa il 2% del Pil dell’area.

Quindi, un programma ambizioso, che si incardina in quello che dovrebbe essere il prossimo quadro finanziario pluriennale dell’Ue.

Nel metodo, non può essere taciuto che l’ammontare dei finanziamenti verrà canalizzato ai singoli paesi mediante programmi finalizzati a specifici progetti di spesa.

Non si tratta dunque di semplici sussidi, ma un sussidio mirato alla recovery e soprattutto alla ripresa economica.

In tal senso, l’idea sottesa alla proposta non è quindi una qualunque ripresa, ma l’idea di focalizzarsi su quelli che sono i punti cardine di tema di politiche economiche da parte della UE, ovvero nel settore dell’economia digitale e nella green economy.

In tal contesto, 16 miliardi e mezzo in più sono diretti all’azione cd. “esterna”, quindi con una evidente consapevolezza da parte della Commissione che per uscire da questa crisi non si può solamente guardare all’interno ma anche all’”esterno” dell’area.

Come appare evidente, il piano si pone come un supporto alle posizioni dell’Italia, della Spagna e di altri Paesi del Sud.

Perché, come è noto, sulla base di questo piano la Commissione inizierà un negoziato serrato con i paesi cd. “frugali” ai fini della relativa approvazione.

A ben vedere, è innegabile che con questa proposta la Commissione sembra si sia già posizionata in detto negoziato, e lo ha fatto dal lato dei paesi più ambiziosi, come naturalmente è proprio il ruolo della Commissione europea UE, che vede attraverso questo fondo anche un’opportunità per fare un passo avanti nell’integrazione europea.

Le reazioni dei commentatori sono stati complessivamente positivi, concentrandosi sulla circostanza che il Recovery Fund ha l’obiettivo di fare sì che il denaro sia utilizzato non solo per finanziare la ripresa, ma anche per modernizzare il tessuto economico secondo gli obiettivi comunitari per i prossimi decenni: il digitale e l’ambiente.

Da una conferenza stampa del vicepresidente Dombrovskis e del commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni è emerso che i Paesi non godranno di piena libertà. Nei fatti, i finanziamenti saranno gestiti con una modalità che ricorda quella utilizzata per i fondi di coesione, ma calata nel contesto del Semestre Europeo. 

I due uomini politici hanno sottolineato come non vi siano in ballo troike o altre occhiute missioni. Al tempo stesso, hanno osservato che «il denaro comune dovrà essere speso adeguatamente»”. 

Un’altra firma autorevole su queste questioni, Gianni Trovati, su “Il Sole”, ha scritto che il Piano nazionale di Riforma può rappresentare la palestra utile per trovare le prime intese politiche nel panorama fin troppo affollato degli obiettivi espressi in questi giorni dalla maggioranza.

Una palestra in cui dovrebbero trovare spazio anche i progetti di riforma fiscale.

Peraltro, l’occasione si presenta altresì utile a riproporre un tema già da svariati anni sollevato e cioè quello delle risorse cd “proprie” dell’Unione, e di un bilancio Ue più ambizioso e ben più consistente di quello attuale.

Pur non sapendo quello che sarà poi l’esito, ovvero dove ricadrà il punto di accordo tra gli Stati membri sulla proposta della Commissione UE, gli schieramenti sono sin d’ora abbastanza chiari.

È evidente che, qualora ci dovesse essere un punto di atterraggio molto meno ambizioso, sarà perché noi – inteso come noi che vogliamo un piano più “ambizioso” – non saremo stati in grado di negoziare un punto di atterraggio all’altezza dell’evoluzione che ci si attende per il progetto comunitario.

Tutto questo per dire che da parte della Commissione UE questo si pone come un grande “aiuto”, perché ci posiziona a negoziare in maniera efficace nell’arco di un lungo negoziato.

Nel complesso, l’Europa è scesa in campo in questa crisi con misure senza precedenti.

Il Recovery fund, dà sicuramente l’idea di voler investire nelle prossime generazioni che sono le generazioni più penalizzate da questa crisi, con un intervento che riguarda 750 mld, di cui i 2/3 come trasferimenti che non dovranno essere rimborsati.

Il nuovo strumento contemplato dalla proposta, si aggiunge peraltro a un pacchetto già esistente, che riguarda il Meccanismo europeo di Stabilità (Mes), i fondi della Banca europea degli investimenti (Bei), i fondi per le politiche attive sul lavoro (Sure) e l’utilizzo dei fondi strutturali che non sono stati utilizzati.

In termini di Policy, l’obiettivo è senz’altro quello di rendere le economie più resilienti, perché siamo parte di un’area che dovrà essere forte e stabile. Quindi, andrà ad aiutare chi è stato più colpito e questo significa l’Italia  in primis, poi la Spagna con 140 miliardi circa.

Il fondo per il Recovery plan dovrà essere “temporaneo” –  il presidente della Commissione UE  l’ha detto che esso sarà “temporaneo ed eccezionale” – e durerà fino al 2022.

Il fondo dovrà operare attraverso tre pilastri: quello degli strumenti specifici per aiutare gli Stati a fare delle riforme; quello degli strumenti specifici per aiutare le imprese che hanno bisogno di capitale; poi, uno strumento specifico, che è chiamato con un nome molto opportuno, “lezioni dalla crisi” (cioè fare tutte quelle cose per evitare di trovarci nella situazione così drammatica come quella attuale nell’eventualità di un’altra crisi), ovvero produrre tamponi, mascherine e dispositivi in Europa e creare prodotti europei, senza dipendere più troppo da altri Paesi. E, soprattutto, investire nella ricerca.

Osservazioni sul merito

In merito alle “condizionalità”, va sottolineato che per l’accesso ai finanziamenti bisognerà presentare un piano di riforme – in realtà queste riforme devono essere in linea con la raccomandazione dell’Ue – e sono quelle cose che da anni ci diciamo di dover fare, ossia investire nel digitale, nell’economia verde, nelle infrastrutture, nella scuola, nell’educazione.

Non ci viene chiesto nulla che sia diverso da quello che abbiamo scritto nei nostri (tendenzialmente poco onorati) piani di riforma (PNR).

In merito al reperimento delle risorse, è previsto che verranno emessi bond basati sul bilancio europeo, che dovrà essere aumentato, e dovranno essere aumentate le risorse proprie, quindi ci sarà una tassazione, una capacità europea di tassare.

 In definitiva, sembra che la proposta vada nella direzione che ci si aspettava già da molto tempo. Il fatto che lo strumento sia stato annunciato in maniera così decisa e chiara è molto importante. Naturalmente i dettagli tecnici sono fondamentali.

In sintesi, viene prefigurata la concessione di prestiti a fondo perduto congiunto ad un elemento più legato alla restituzione delle somme prese a prestito.

Anche l’impostazione del fondo è un elemento importante, dal punto di vista dell’innovazione e degli strumenti, perché il fatto che vengano presi in considerazione prestiti a lungo termine garantiti dalla Ue è un’innovazione sia dal punto di vista finanziario ed economico, ma anche dal punto di vista politico. È un fondo che concede ampi spazi ai Paesi che sono stati colpiti più duramente dalla crisi del Covid-19, in particolare l’Italia e la Spagna, ed è un fondo che attribuisce le quote in maniera più che proporzionale.

Ad ogni modo, non va sottaciuto, dal punto di vista dell’intervento di policy, che l’intervento riprende un punto molto caro ai tedeschi: quello delle riforme strutturali.

Comunque, quello di cui si avverte nettamente il bisogno è una sorta di “ponte” tra gli interventi a breve termine, che sono serviti a tamponare in via immediata i danni della pandemia e il sostegno nel lungo periodo, finalizzato a ingenerare i cambiamenti strutturali.

Quanto allee perplessità sollevate dai paesi cd. “frugali”, le stesse sono parzialmente fugate dal fatto che i fondi saranno canalizzati attraverso determinati programmi, che hanno una chiara finalità.

Non si tratta infatti di finanziamenti a fondo perduto, a pioggia: dovranno rispondere ad una specifica progettualità. Diversamente, emergerebbero le criticità di una azione inefficiente in termini economici, perché probabilmente non verrebbe utilizzato per il fine ultimo di questo progetto, ossia il fatto che all’interno dell’Eurozona e dell’Ue ci sono stati dei trend economici divergenti.

In buona sostanza, è condivisibile il fatto che da parte dei quattro paesi “frugali” non c’è semplicemente un’attenzione del tutto legittima per i parametri finanziari, ma c’è di fatto una resistenza nel vedere un ruolo sovranazionale più forte di quello che è stato, che naturalmente è.

Il tema cruciale è sin d’ora l’interrogativo se l’Italia riuscirà effettivamente a spendere nel migliore dei modi queste risorse.

Qui va detta una cosa importante: mai un governo ha avuto a disposizione una quantità di risorse così significativa. È una grandissima responsabilità e opportunità.

Per fare ciò, è necessaria una configurazione organizzativa della nostra amministrazione, a tutti i livelli, adeguata alla sfida, che agevoli il processo decisionale e, soprattutto, sia realmente in grado di implementare in maniera rapida, efficiente ed efficace le decisioni di spesa.

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