Crescita, ricchezza e povertà: il potere della conoscenza
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“Conoscenza e cultura: le uniche droghe in grado di generare indipendenza…” – Anonimo Dottore

Di Angelo Deiana

Dobbiamo essere pragmatici: il denaro ha la sua importanza per lo sviluppo e, forse, anche per la felicità. Non perché sia il suo principale elemento costituente ma perché, a livelli di reddito molto bassi, è innegabile infatti che ogni euro o dollaro in più comporta vantaggi in termini di alimentazione, servizi medico-sanitari, istruzione.

Ed è chiaro che una maggiore uguaglianza dei redditi globale o una maggiore equità nella distribuzione, anche se non portasse la felicità, sarebbe comunque un bene di per sé. Per tale ragione, un obiettivo importante dei governi dovrebbe essere l’attuazione di politiche in grado di promuovere la crescita economica.

Ma la crescita è soltanto uno degli elementi da mettere in agenda per uno sviluppo ampio e diversificato. Il vero obiettivo di qualsiasi politica per aumentare il benessere dei cittadini dovrebbe essere non solo quello di creare ricchezza in assoluto, ma soprattutto quello di migliorare la qualità della loro vita.

Il PIL o il reddito pro-capite sembrano invece diventati la misura più comune della qualità della vita generale di un Paese. Per certi versi, non possiamo dire che non sia vero a fronte della schiacciante evidenza del fatto che i poveri muoiono più giovani, e che i loro figli soccombono più spesso alle malattie, non hanno accesso all’istruzione e affrontano livelli di crimine e violenza superiori.

Ma tutto questo non risolve il problema più importante. Quello per cui siamo tutti scarsamente consapevoli dei metodi con i quali velocizzare crescita economica e qualità della vita, nei Paesi ricchi come in quelli poveri. Non esistono “killer application”, soluzioni buone per tutte le stagioni e per tutte le situazioni. Tranne, forse, una.

Tra le principali soluzioni, infatti, la conoscenza ha assunto un ruolo cruciale per il miglioramento della salute, dell’istruzione e della sicurezza. Ovunque, compresi i Paesi in via di sviluppo. Idee, invenzioni e soluzioni hanno inoltre fatto in modo che sempre più individui potessero godere della qualità della vita senza cadere nella trappola maltusiana della sovrappopolazione e delle scarsità di cibo.

D’altra parte, l’ignoto ed il futuro fanno spesso paura. Proviamo ad immaginare di dover descrivere le tecnologie nucleari di una portaerei a persone vissute due secoli fa. Ma quante persone oggi vorrebbero tornare indietro alle vite brevi, brutali, piene di malattie, debilitate dalla povertà e dalle guerre e continuamente aperte ai disastri con cui doveva lottare, sempre due secoli fa, il 99% della razza umana?

Possiamo vedere romanticamente il passato, ma fino a poco tempo fa la maggior parte delle persone conduceva vite estremamente fragili in cui disastri o cattiva sorte erano molto frequenti.

Due secoli fa la speranza di vita per le donne in Svezia (il Paese che deteneva il record) era di circa 35 anni: la massima speranza di vita di oggi è di quasi 88 anni per le donne giapponesi.

La speranza di vita per i maschi era di circa 33 anni, contro i 79 medi di oggi per i Paesi più avanzati. Ci voleva mezza giornata per preparare il pasto della sera e la maggior parte delle attività era connotata da logiche di lavoro duro. Non esistevano reti sociali di sicurezza. Era il 1821.

Dati significativi ma che non ci devono far trascurare che una parte non residuale delle popolazioni vive ancora in condizioni disagiate, per definirle eufemisticamente, su questa Terra.

Ed è proprio questa una delle ragioni più importanti per investire nel progresso della conoscenza e nei miglioramenti economici che lo accompagnano.

Pensateci bene: fra una crisi economica e un’altra pandemica, stiamo andando avanti lo stesso. Perché la domanda è una sola: anche se il singolo periodo negativo può essere vero nel breve periodo, il trend negativo di lungo periodo è comunque vero?

La risposta delle cifre non ammette repliche. L’andamento di quasi tutti gli indici di prosperità sociale è migliorato a livello globale di oltre il 20% negli ultimi vent’anni.

Senza dimenticare il progresso della medicina moderna che ha migliorato la qualità della nostra vita e ci ha resi più longevi.

Per non parlare degli smartphone e di altre tecnologie per l’intrattenimento e le comunicazioni, i cui prezzi negli ultimi vent’anni sono crollati.

Congegni diabolici dice qualcuno, ma che stanno consentendo, attraverso reti e applicazioni del Web, una diffusione della conoscenza e della consapevolezza senza precedenti a livello globale.

Ecco qualche dato. Vediamo cosa è successo, ad esempio negli Stati Uniti, il Paese più ricco del mondo già nel 1900.

Mentre nel 1950 23 persone su 100.000 morivano in un incidente stradale, nel 2009 il loro numero era sceso a 11. Nel 1900 solo il 2% delle case aveva l’elettricità e quasi nessuno aveva un frigorifero. Cento anni fa solo una persona su 20 poteva andare a scuola. Nel 1909 la settimana media lavorativa era di 51 ore: oggi è di 34 ore medie.

Nel 1940, meno del 5% conseguiva la laurea, oggi sono più del 30%. Tra il 1920 e il 1980 morivano di fame 395 persone ogni 100.000. Negli anni 2000 sono tre ogni 100.000. Fino al 1950 il 40% delle case americane non aveva il telefono.

E questa non è soltanto la storia dei successi nei Paesi più ricchi come gli USA. I miglioramenti della qualità della vita e della salute pubblica nei Paesi in via di sviluppo sono ancora più radicali.

Sebbene negli ultimi cinquant’anni la popolazione del pianeta sia più che raddoppiata, nello stesso periodo la percentuale di quanti vivono in condizioni di povertà si è dimezzata.

I tassi di mortalità infantile e di aspettativa di vita nell’America del Sud sono migliorati di oltre il 40 per cento dai primi anni Novanta. E in nessun altro Paese il tenore di vita medio è aumentato più velocemente di quanto sia successo in Cina negli ultimi vent’anni.

Ma non basta. Da sempre, questo è il più lungo periodo di pace in Europa. Nonostante la tempesta perfetta del 2008, nonostante la pandemia, Paesi un tempo poveri come Portogallo, Grecia, Irlanda vivono oggi molto meglio di quaranta anni fa. E, in Paesi ancora non troppo ricchi come Bulgaria, Romania o Albania si vivrà presto molto meglio.

E siamo solo agli inizi. Fra la metà degli anni Settanta e il 2018 il numero degli Stati democratici nel mondo è più che triplicato. Molti dimenticano che Portogallo, Spagna e Grecia sono diventate nazioni democratiche solo dalla metà degli anni ’70.

Fra il 1979 e il 1985 otto Paesi dell’America Latina sono passati da governi militari a governi eletti composti da civili. In Asia, nel 1986, è cessata la dittatura nelle Filippine e l’anno successivo il potere dei militari in Corea del Sud.

Nel 1991 si instaurano governi democratici in Bangladesh, Nepal e Pakistan. Dopo il 1997 molti Stati africani legalizzano partiti di opposizione e fanno svolgere elezioni multipartitiche.

Poi, certamente, ci sono i Paesi che hanno “democrazie autocratiche”, ma quello che conta non è valutare solo i dati ma capire come sia successo. Leggere le cause e non gli effetti.

Parafrasando una parabola confuciana, fino a non molto tempo fa, la ricetta contro la povertà era la seguente: meglio insegnare a pescare che regalare un pesce. Una saggia strategia, senza dubbio.

Ma, da qualche tempo a questa parte, abbiamo aggiunto un altro ingrediente: oltre alla canna da pesca diamogli un computer o uno smartphone.

Perché il miracolo evangelico della moltiplicazione delle informazioni e della conoscenza (e della democrazia) è merito delle reti e del processo evolutivo delle tecnologie che supportano il capitalismo intellettuale.

Ecco perché, pur nei processi di espansione della felicità (felicità relativa certo, ma pur sempre felicità), il punto di focalizzazione è la differenza tra chi non ha e chi ha accesso a Rete, conoscenza e consapevolezza.

Normalmente sono i ricchi ad avere la prima scelta in tutte le società, come accade da sempre in tutta la Storia. Ma quello che conta è che, in questo ultimo decennio, gli smartphone sono cresciuti in misura fenomenale tra gente che non è né ricca né potente, né mondana né sofisticata.

Collegando gli agricoltori alle informazioni del mercato, i produttori ai consumatori, i pazienti ai medici e gli studenti agli insegnanti, Internet e la telefonia mobile diffusa agevolano lo sviluppo economico, sociale e culturale.

Senza dimenticare che le asimmetrie di PIL, di conoscenza e di approccio al digitale si colmano spesso anche grazie alle forze incontrollabili del mercato.

E’ per questo che gli smartphone, anche se involontariamente rispetto ai desideri reconditi di Big Tech, stanno cambiando in maniera straordinaria l’asimmetria dell’informazione e della conoscenza tra ricchi e meno ricchi, ovvero il vero elemento fondante della povertà.

Una povertà che, non lo dobbiamo mai dimenticare, ha ancora moltissimi luoghi e profonde ferite da lenire, soprattutto nella gestione dei divari tra Paesi poveri e Paesi ricchi e tra più ricchi e meno ricchi all’interno di tutti i Paesi.

Ma anche un mondo da sempre senza speranza che, per la prima volta nella Storia, ha forse un futuro a cui aggrapparsi con tutte le forze grazie alla conoscenza e alla tecnologia.

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